Il conte e la leggenda del drago di Salvatore Agneta

 
Sulla memorabile e affascinante leggenda di un terribile drago che nei tempi passati terrorizzava le popolazioni delle convalli dell’Agri e del Sauro, Salvatore Agneta di Stigliano, scrive un interessante saggio dal titolo Il conte e la leggenda del drago. Uno studio sospeso tra storia e tradizione, tra leggenda e realtà.

 Il mito del Drago affascinò persino Levi durante il confino ad Aliano, che volle dedicare a questa storia, due pagine del Cristo si è fermato a Eboli. 
In un libretto di 60 pagine, intriso di vicende e fatti storici, che si snodano in tutto il corso del basso medioevo, fino all’inizio del 1500, Salvatore Agneta  cerca di ricostruire, tra memoria, fantasia popolare e documentazione scritta, le origini, i luoghi e i tempi di questo mito. 
I riferimenti storici sono tanti, oltre a Levi, anche Panetti, Molfese, Branco. Una serie di ricognizioni sul campo, di richiami e di rimandi poliedrici e sfaccettati, hanno consentito all’autore di giungere ad una esauriente e razionale ipotesi di questo mito.

Riporto di seguito alcuni stralci conclusivi del saggio:

“Una versione tramandata oralmente vuole che il drago vivesse in un lago sul monte Serra, presso Stigliano, e da lì si spostasse alla ricerca di uomini e bestie per soddisfare la sua fame, con particolare predilizione per le fanciulle di nome Margherita.
La cosa andò avanti per molto tempo fino a quando “il principe” non lo uccise mozzandogli la testa
  con un colpo di spada. Gli stiglianesi riconoscenti gli donarono il bosco La Foresta”. (p.48 )

“Un’altra versione sempre, sempre orale, vuole che il drago dimorasse presso “la grande piscina della Villa” che si trovava vicino al castello di Stigliano, e lì afferrasse i poveri malcapitati, uomini e bestie,che si recavano a prendere l’acqua o ad abbeverarsi. Il “principe” allora pensò di allontanare il mostro fornendogli come esca cinquecento pecore. Il gregge fu mandato  avalle ed il drago lo seguì, e man mano che scendeva ne divorava una parte. Quando ebbe mangiato anche l’ultima pecora, il mostro si ritrovò sperduto “nella valle del fiume” e da lì non fece più ritorno” (p.48 )

“L’unica strada percorribile in tal senso è quella che conduce a questa conclusione: il drago altro non sarebbe che la rappresentazione simbolica del fiume.
E’ questa dunque, la giusta chiave di lettura?
Al di là delle tante versioni che la tradizione, nel tempo e attraverso vari relatori ha arricchito con particolari  sempre più diversi e fantastici, a ben guardare fra il drago e il fiume si possono trovare, d’accordo con il Branco, delle analogie sorprendenti. Il drago, infatti, può essere  lungo e sinuoso come il percorso di un fiume, impetuoso e travolgente come una piena, vorace e letale come la corrente dell’acqua, pestifero come l’aria di una palude.
La fantasia popolare ha creato i draghi per simbolizzare forze naturali terrificanti. I dissodamenti e le bonifiche hanno assunto sovente, nell’agiofrafia e nella mitologia del cristianesimo, l’aspetto della lotta contro un drago.
L’uccisore del drago è, da questo punto di vista, un eroe vincitore sul caos naturale; trionfando sulla palude, predispondendo un habitat più adatto all’uomo, egli si manifesta come benefattore.” (p.53)


Salvatore Agneta, Il conte e la leggenda del drago, Collana i luoghi della memoria, Nicola Bruno Editore, 2003

Maria Pina Ciancio

6 risposte a “Il conte e la leggenda del drago di Salvatore Agneta

  1. Sarebbe interessante una ricognizione regionale di questo mito.
    Io ne sentii parlare per la prima volta ad Aliano, e così rammentai di avere tra i miei “casalinghi” questo saggio di Agneta (avuto in omaggio da un amico tipografo).
    La storia mi ha molto affascinata per la particolarità e perchè nei miei luoghi non avevo mai riscontrato la presenza leggendaria di draghi o creature affini.
    Mapi

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  2. Come giustamente rilevato da Agneta, l’ipotesi del Drago come rappresentazione simbolica del fiume è abbastanza riduttiva, anche alla luce dei numerosissimi studi storici ed antropologici su questa simpatica creatura.

    La cosa che mi colpisce del Drago di Stigliano è che l’uccisore del Drago sia un “Principe laico” e che la ricompensa sia un bene materiale. Inoltre, in quella zona si manifesta ancora oggi il rito dei “Campanacci”, mai pienemente spiegato dai nostri fantastici accademici (rito che potrebbe avere vita molto breve, visto che qualcuno vorrebbe trasformarlo in SAGRA, con tanto di masse di turisti annessi).

    In ogni caso, non abbiate paura; l’umanità si è evoluta moltissimo dai tempi di quegli stupidi Draghi, dai Munaciedd’ e da tutte quelle credenze di gente ignorante.

    Adesso fortunatamente la drago-fobia è stata sostituita dalla xeno-fobia di stato, una nuova e meravigliosa forma di fobia che va in onda tutte le sere in TV e che addirittura vorremmo tutelare per legge.

    P.S.

    Ci ho pensato bene e ho cambiato idea.

    Rivoglio i miei Draghi.

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