SCRITTORI & SCRITTURA – Incontro con Stefano Guglielmin [16]

Viaggio dentro i ‘paesaggi interiori’ di 20 scrittori italiani
(rubrica settimanale a cura di M.P. Ciancio – XVI appuntamento)

guglielmin

Scrivere è un atto solitario, intimo e privato. Ci vuoi raccontare che significato ha per te la ‘parola scritta’ e come vivi il rapporto della scrittura con l’altro e il mondo esterno?

Ospito con molto piacere questo intervento “partecipato” e condiviso di Stefano Guglielmin:

Questo non è un testo poetico. Lo capisco dal fatto che io sono perfettamente a piombo sulle cose che dovrò dire. Non sono distratto dal mondo o non così tanto come quando scrivo una poesia. Quando scrivo una poesia, in realtà, sono pieno di gente dentro. Tutta lì che dice qualcosa, che mormora o grida, gente simpatica, ma non sempre. Quando scrivo una poesia io sono i tanti che mi abitano e che fanno a gara per dire l’ultima parola. Sento persino le voci di chi non ho mai incontrato. La cosa potrebbe preoccuparmi, se riguardasse soltanto me; invece credo che questo vociare assillante sia lo sfondo inquieto con il quale ciascun poeta si misura.

Se scrivere fosse un atto solitario, intimo e privato, allora non avremmo nulla da dirci: ognuno costruirebbe un monologo implosivo, una perfetta macchina sorda, cieca e muta, una cosa senza nome, senza relazioni. Dire invece scrittura significa fare altro con l’altro, mondo con il mondo. Significa aprire le orecchie per captare le infinite vibrazioni che attraversano i viventi, animali compresi. E aprire gli occhi senza inorridire di fronte a Medusa. E parlare, finalmente, lasciandoci attraversare, in uno spostamento che aduna il qui e l’altrove, il cielo e l’inferno, ma anche i panni da lavare, il sapore delle labbra della mia amata, l’assicurazione da pagare. C’è un modo particolare (privato) in cui lavo, amo, mi preoccupo, ma la scrittura che conta non può che scardinarne il solipsismo, muoverne gli elementi del nostro essere-in-comune, così che ciascun lettore sia toccato in un luogo senza proprietà, in una terra dove ci si incontra davvero poiché nessuno è perfettamente a casa propria e nessuno, nel contempo, è totalmente straniero.

Volevo scrivere un testo semplice, ma poi, come sempre, ho intricato la questione. Forse inevitabilmente, data la natura complessa della scrittura poetica. Così complessa che anche quando chiediamo silenzio e solitudine per scrivere, invero cerchiamo maggiore spazio interiore in cui far risuonare l’altro e il mondo, ciascuna sua presenza, distintamente. In questo spazio, l’identità si fa più sottile, si mette di lato, per lasciare essere le cose e gli affetti tenuti nel giogo spaesante della scrittura. Se c’è cammino solitario e individuale, come alcuni amici poeti hanno sostenuto in questo ciclo di interviste, questo consiste nell’alleggerire la centralità del soggetto, nell’indebolire il principio di individuazione, così che la parola trattenga, per dirla con Nietzsche, apollineo e dionisiaco, ossia forma e desiderio, superficie e profondità, io e ogni altro da me che mi costituisce in quanto essere singolare plurale.

[dicembre 2008]

NOTA
Stefano Guglielmin è nato nel 1961 a Schio (VI). Laureato in filosofia, insegna lettere nel locale liceo artistico. Ha pubblicato le sillogi Fascinose estroversioni (Quaderni del gruppo “Fara”, 1985), Logoshima (Firenze Libri, 1988), come a beato confine (Book editore, 2003), La distanza immedicata / the immedicate rift (Le Voci della Luna, 2006), Il frutto, forse (Araba Felice, 2008, una poesia in 99 copie numerate con opera originale di E. Oliviero), Erosioni, in Dall’Adige all’Isonzo. Poeti a Nord-Est (Fara, 2008) ed il saggio Scritti nomadi. Spaesamento ed erranza nella letteratura del Novecento (Anterem, 2001). È presente in alcune antologie, fra le quali Il presente della poesia italiana, curata da C. Dentali e S. Salvi (LietoColle, 2006) e Caminos del agua. Antologia de poetas italianos del segundo Novecientos, a cura di E. Reginato (Monte Avila, 2008). Suoi saggi e poesie sono usciti su numerose riviste italiane ed estere e su siti web.
Collabora con riviste letterarie ed editori italiani. Fa parte della redazione di LiberInVersi (http://liberinversi.splinder.com/) e gestisce il blog Blanc de ta nuque (http://golfedombre.blogspot.com/).

 (foto in alto, Stefano Guglielmin e Lia Rampon , scatto di Elia Guglielmin)

25 risposte a “SCRITTORI & SCRITTURA – Incontro con Stefano Guglielmin [16]

  1. Molto centrato l’intervento di Guglielmin: il silenzio è la modalità che rende possibile la relazione con l’altro da sè che resta sempre, comunque, la relazione originaria di ogni scrittura, anche di quella più apparentemente solipsistica, un saluto, Viola

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  2. “…così che ciascun lettore sia toccato in un luogo senza proprietà, in una terra dove ci si incontra davvero poiché nessuno è perfettamente a casa propria e nessuno, nel contempo, è totalmente straniero…” Questa è la scrittura poetica dunque: un luogo dove ci si incontra, ci si riconosce, dove qualcosa accade.

    Ogni nuovo scrittore che Maria Pina intervista è fonte di meditazione e arricchimento.
    Un caro saluto
    Antonio

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  3. sono rimasa molto colpita Stefano, dagli spunti di lettura che offre il tuo intervento, tutto centrato e calibrano nell’ascolto, sull’apertura all’altro, perchè quando si scrive ci si moltiplica, siamo le voci che abitano fuori e dentro i noi (siamo tempi e spazi dilatati, talvolta noti, talvolta sconosciuti persino a noi stessi)

    “sono pieno di gente dentro. Tutta lì che dice qualcosa”

    non posso che ringraziarti con affettuosa stima per aver contributo ad arricchire con la tua voce questo dibattito sulla scrittura a cui tengo particolarmente.

    Grazie inoltre a tutti coloro che puntualmente ritornano con la loro presenza affettuosa e costante.

    A presto

    Mapi

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  4. Grazie a te, Maria per l’ospitalità.
    La mia poesia spero sia espressione di quanto ho scritto qui.

    ringrazio anche Antonio e Viola, che ho già incontrato (e stimato) in altri spazi internauti.

    spero inoltre che questo post sia l’occasione per discutere di poesia e per conoscerci meglio.

    ps. la famiglia ringrazia 🙂

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  5. Mi piace ricordare una accalorata discussione romana, nel 2003, sul ruolo del lettore e, in particolare, se si possa individuare un lettore ideale della poesia e/o dei singoli poeti. Mi trovai piuttosto isolato nel sostenere che io scrivevo tenendo a mente, per quanto possibile, un lettore diciottenne, magari ancora da ‘convertire’ alla poesia. In lui peraltro mi riconoscevo, riandavo a me stesso disarmato e ossequioso lettore della poesia antologizzata per la scuola degli anni settanta. Credo che se la poesia ha qualche chance di incidere sulla realtà, la gioca nel rapporto col singolo lettore, che cerca anch’egli, come il poeta, qualche barlume, una chiave per tentare di decodificare il mondo, la via di una possibile verità (“il filo da disbrogliare che finalmente ci metta/ nel mezzo di una verità”, E.Montale, I limoni). Trovavo, e ancora trovo, stimolante domandarmi, a testo concluso, se esso abbia la capacità di ‘parlare’ al liceale di oggi, se riesca a catturarne almeno a tratti l’attenzione.E’ questo (me stesso compreso) il mio ‘pubblico della poesia’…

    Forse c’è un doppio peccato in questo mio approccio: d’ambizione e ingenuità. Ma tant’è, oso addirittura chiedervi cosa ne pensiate, e chiederlo in primis a Stefano Guglielmin.

    Grazie
    Notte serena
    Antonio

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  6. ottimo intervento di Autore colto e dai presupposti raffinatissimi, laddove indica la complessità dello scrivere e dell’ideare quale …chiediamo silenzio e solitudine … ma è contiguità al mio fare in forme espressive altre, i miei complimenti a stefano guglielmin di cui prima ho un po’ letto in giro…e complimenti all’amica mapi per questa sua idea di “incontri” che mi sembra eccellente e intelligente
    roberto matarazzo

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  7. “C’è un modo particolare (privato) in cui lavo, amo, mi preoccupo, ma la scrittura che conta non può che scardinarne il solipsismo, muoverne gli elementi del nostro essere-in-comune, così che ciascun lettore sia toccato in un luogo senza proprietà, in una terra dove ci si incontra davvero poiché nessuno è perfettamente a casa propria e nessuno, nel contempo, è totalmente straniero.”

    Il “beato confine”, Stefano, appunto, che muove autore e lettore; l’autore accogliendo, a tal fine, tra le tante ed “altre”, la voce giusta, quella che apre, avvicina, accomuna. In questo caso, è evidente che la scrittura non è solo scrittura, ma tessuto connettivo, neuronale e affettivo di un unico, immenso, auspicato corpo.

    Usasti il termine “beato confine” in risposta proprio a un mio commento, in calce a uno splendido post dedicatoti da Francesco Marotta su LPELS (sotto, il link, per richiamare il tuo lavoro poetico e gli interventi critici su di esso)
    Un caro saluto
    Giovanni

    http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2007/03/16/scritture-6-%e2%80%93-stefano-guglielmin/

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  8. Caro Antonio, la question del pubblico della poesia è assai complessa e lo sai bene. Personalmente io dialogo con la tradizione (il mio pubblico assente) e con il lettore che ha molta pratica della poesia italiana. un lettore colto, dunque. Ciò non toglie che la forza della poesia stia appunto nel fatto che essa sfugge al dominio dell’autore e, se vale, riesce a toccare anche chi è sguarnito di protezioni ermeneutiche.

    sui liceali (di cui ho la pratica professionale visto che ne vedo una cinquantina al giorno e con loro parlo di letteratura) direi che sono un pubblico in potenza. di fatto, sono adolescenti: macchine sensibilissime ma egocentriche, tendenzialmente poco inclini a far fatiche intellettive e più propensi a praticare il genere pop con tutti gli stereotipi che ciò comporta.

    un saluto anche a Roberto Marrazzo.

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  9. ciao Giovanni: hai colto benissimo il testo. Il libro a cui fai riferimento è proprio un tentativo di pensare l’incontro, la relazione, a partire dall’abbandono dell’identità forte.

    un caro saluto e grazie per il link

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  10. Nessun dubbio sulla aleatorità di un lavoro poetico che cerca di ‘tararsi’ su un pubblico (potenziale) giovanissimo. In realtà io ho in mente il me stesso di allora più che l’adolescente di oggi, che non conosco bene come chi ci lavora a contatto.

    Ed è naturalmente molto ampio e complesso il discorso del pubblico della poesia. Credo peraltro si capisse che il pubblico ideale cui alludevo non è il pubblico tout court cui si aspira, bensì il tipo di lettore sul quale tarare il proprio lavoro, per costringersi a una comprensibilità adeguata senza tradire il dovere di velare e trasfigurare oggetti e direzioni del dire…

    grazie a Stefano
    un caro saluto a Giovanni e a tutti

    Antonio

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  11. E aprire gli occhi senza inorridire di fronte a Medusa.

    Trovo che sia il luogo dis-abitato, la spoglia-sembianza di ciascuno di noi, la paura terrificante che ci pietrifica,quella che Pascal individuò nel divertissement (“…ho scoperto che tutta l’infelicità degli uomini proviene da una cosa sola: dal non saper restare tranquilli in una camera… ho voluto scoprirne la ragione, ho scoperto che ce n’è una effettiva, che consiste nella infelicità naturale della nostra condizione, debole, mortale e cosí miserabile che nulla ci può consolare quando la consideriamo seriamente.” Blaise Pascal, Pensieri)identificandola con l’unica incapacità dell’uomo: non si e(v)ade la morte e il mondo in-fero af-fiora in noi dai sui germi,in-se-mina i sogni facendoli diventare segni che cercano il passaggio verso l’altro,anche l’altro noi,sole da cui nasce soletudine, in una comunanza d’intenti,atti a gestire quel vociare di tempesta che ci as/sale, ma è,forse, una sola molteplice eco. Grazie,ferni

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  12. ciao Ferni, dici cose complesse; se vuoi ne possiamo parlare. Intanto noto, con piacere, che citi la Farabbi: “soletudine” e sua, vero?

    Lorenza: ha iragione; la scrittura è nata per questa ragione: io è un altro, come scrive l’amico maledettamente francese.

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  13. la Farabbi condivise con me questo mio luogo.Gliene parlai anni fa, ormai,della SOLEtudine e divenne anche un suo luogo, quello in cui, nella di-stanza ci incontriamo anche senza scriverci per lungo tempo,anche senza vederci:attraverso un(a) “cellula-re” ci sentiamo. Quando vuoi sono a disposizione. Grazie per quanto porti,ferni

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  14. purtroppo, a volte, non è ben chiara la sintesi che si propone.In ogni caso essere sorella, in questo tempo di chiusura delle porte delle proprie case, delle nazioni,…, mi dona un respiro in più e mi permette di poter sperare nel bene, non solo e sempre in una mercificazione svilente delle relazioni,come vogliono farci credere e a cui vogliono abituarci. Grazie ancora,ferni

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  15. era infatti con questa intenzione che lo dicevo.

    sul nostro essere mortali, cui riferivi più sopra: io credo che dobbiamo pensare alla nostra mortalità non come una miseria o una mancanza, ma – come dice Heidegger in “Essere e tempo” – come ciò che ci garantisce la presenza situata continuamente aperta al possibile. Ma forse è quanto dici anche tu verso la fine del discorso.

    ciao!

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  16. Ciao Stefano, ho molto apprezzato il tuo scritto nel quale ho trovato assonanze con il mio (là dove dico che “L’altro, dunque, per me è il e nel fare stesso della poesia”) e anche altri spunti fecondi per una ulteriore riflessione sul fare poesia. Riflessione che sempre mi accompagna perchè vivo la poesia come un modo di essere nel mondo. Come quell’attenzione creatrice di cui parlava Simone Weil a cui fa eco Cristina Campo quando dice che “ogni errore umano, poetico e spirituale non è in essenza se non disattenzione”.
    Un caro saluto e visto che ormai è imminente un augurio di un sereno Natale. Lucianna
    Naturalmente un saluto e un abbraccio a Mapi.

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  17. ciao Lucianna, grazie per aver ricordato due grandi della poesia (ci aggiungiamo Celan?).

    in verità, la poesia di ogni epoca mette in gioco l’essere singolare plurale, così come lo intende Nancy. Tuttavia, soltanto da pochi anni lo sappiamo.

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  18. ringrazio tutti gli amici con i quali ho scambiato qualche parola e tutti coloro che sono passati silenziosamente di qui. E ringrazio Maria Pina e il sito Lucaniart

    A tutti auguro un buon Natale

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  19. Pingback: Poesie di Stefano Guglielmil | LucaniArt Magazine·

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