Viaggio dentro i ‘paesaggi interiori’ di 25 scrittori italiani
(rubrica settimanale a cura di M.P. Ciancio – XXVI appuntamento)
Scrivere è un atto solitario, intimo e privato. Ci vuoi raccontare che senso ha per te la parola scritta e come vivi il rapporto della scrittura con l’altro e con il mondo esterno?
Il contributo di questa settimana è di Marina Minet che si racconta così:
È in questa stanza parallela che so trovare il verbo giusto, idoneo a immortalare le mie vene. In questa gestazione di parole decise dall’umore o da un qualcosa che non sa aspettare, come l’istinto per la sete e tutte le preghiere inesaudite, scusate dietro lo sguardo dei ciechi. La scrittura è la mia continuazione del pensiero che straripa inopportuno e delirante. La sento come vocazione spontanea. La stringo come cura dovuta per le impronte che lascio senza calco quando all’alba mi trascina il vento e un senso che non so.
Esprimo scenari transitori per non farmi divorare dal silenzio e dalla presenza ingombrante che indosso, di fronte al massacro d’ogni tirannia.
Talvolta è una missione altruista. Una lacrima plasmata e un peccato irreale, immune al perdono. Il calice che versa il sacrificio, umiliando ed esaltando il sé al cospetto della verità. La vera poesia è terribilmente scomoda. Boccheggia e sopravvive con fatica di fronte all’aridità moderna, eppure resiste, si espande, germoglia e sfiorisce, fra i malati, negli ospedali sporchi, in mezzo alla miseria umana e alle ingiustizie, perché è di questo che si nutre, paradossalmente muore e rinasce a rotazione grazie a ciò che l’esistenza impone. È il suo cammino obbligato per quanto doloroso. Il miracolo delle parole non finirà mai di stupirmi fra le tante condanne che concede la vita.
Solo il ventre materno potrebbe spiegarne il paragone.
Lungi da me l’ipocrisia e tutti i carcerieri.
*
Sono morta di poesia
Sangue armato e libero senz’ali
E i tempi hanno giurato
Che ogni verme consumava vinto
Il canto del respiro
(agosto 2008)
*
Quando l’erba piange vento
Vorrei scrivere poesia
Con il ghiaccio seminato fra le vene.
Un concetto stagionale senza sole
Che devasti la miseria delle fiere vanità
Vorrei dire la censura;
Il soppalco che nasconde
E svelare lentamente le macerie
Penetrandole insapute
Tutto è scelto, conveniente,
Superiore approvazione
Senza grasse code avanti e spinte dietro:
La congiura dei villani
Sconosciuti nel perdono
Com’è semplice la valle senza passi;
L’inclinata posizione che mantiene
Quando l’erba piange vento
Diradando la fatica oltre le foglie
Vorrei scrivere poesia
Con la morte dominata
E guardarla remissiva un solo istante
Mentre affida la sua pace
Tutto è perso. Cieca rotta.
Le parole spodestate verso il fango
Riferiscono silenzi in meraviglia
Dove il prato domani peserà
Com’è semplice capire;
Confermare delle rondini il ritorno
E guardarle senza invidia né illusione
Propagate verso nidi già invecchiati
(3 marzo 09)
*
Del dolore inutile
Mi dolgo del caos
Io l’ho.
Una percezione imprevista
Che bisbiglia a tratti osceni
Aiuole ordinate alla prestanza additante.
Inconfessabile spazio, a respirarsi
Nell’aratura dei gesti verbali
Una coscienza
Difforme
Pulso
Inebrio
Scarnifico
Depuro
Frantumo
Calco
Reprimo
Invano
Passiva nel dirmi e urlarmi
Castrarmi e assolvermi
Che d’affluente
Piangendo addosso al mare
Rinfranco appena forma liquida
Sillabando lo stupore
Sequenze
Instabili come calendari appesi
A ciondolarmi
Quando il vento stringe appena spazi chiusi
Dentro involucri placati
Le Stagioni amare mi hanno rinunciata
Per l’incoerenza della bontà irrisoria
Dentro Fogli disabitati,
Dove deporvi idee
In fila conforme
Come tanti soldati freddati sulla neve
L’inevitabile della notte è considerarsi le stelle
Supini nel dimenticarsi
L’inesorabile della notte è rimboccare coperte
Con la gioia mozzata
A immaginarne altre scoscese
Macchiate a scucirsi
È questo che estingue.
L’ennesima ossessione d’avere tutto situato
Sanguinato e asportato.
Approfittato nella caricatura dell’assolvere
La sublime mutilazione
Del dolore
La messa della parola consacrata a svenare
L’eucaristia del verbo
Sodomizzato nell’assente espressività
Del ritrovarsi nudi
Compassionevoli
Cercavo la poesia di me
Un nervo intonato al sapermi
Irripetibile
Non l’ho mai trovata
Ansimava nel colletto abbellito
Di bambini violati
Che hanno umiliato il sole
Con le unghie mangiucchiate di fretta
Non ha mai abitato il vento
Fra le foglie di ciliegi stesi
E le finestre, schiuse di mattino
Hanno accordato un drappo
Una coltre ricamata a filo insanguinato
Con le iniziali del primo defloro
Volevo un dolore asportato
Per assaporare la pioggia e annullarla
Chiedevo la poesia
Un silenzio ovattato sotto il cuscino
Come una ninna nanna a morirmi
Ma non l’ho mai trovata
(2003)
Note bio-bibliografiche
Marina Minet, il cui vero nome è Teresa Anna Biccai, nasce a Sorso nel 1967.
La sua scrittura rivolge un’attenzione particolare ai tomenti dell’esistenza e alle semplici inquietudini che segnano e contemporaneamente arricchiscono l’anima. Ha pubblicato tre monografie poetiche: “Le frontiere dell’anima” (Liberodiscrivere® edizioni, 2006), “Il pasto di legno” (Poetilandia, 2009) disponibile su Lulu e la recente pubblicazione in ebook “So di mio padre, me” (Clepsydra Edizioni, 2010) scaricabile on line. Fra le altre pubblicazioni ricordiamo i romanzi collettivi al femminile “ESTemporanea” (Liberodiscrivere® edizioni, 2005) e Malta Femmina (Ed. Zona, 2009), il poemetto in prosa-poetica “Perdono in supplica d’impronta esangue in monologo d’augurio al pasto” (da Amantidi – Vittime, Magnum Edizioni, 2006). Un suo racconto per bambini è stato pubblicato nella raccolta antologica “A mezz’aria” (Liberodiscrivere® edizioni, 2006). Il racconto “Metamorfosi nascoste” recentemente è stato pubblicato nell’antologia “Unanimemente” a cura di Gabriella Gianfelici e Loretta Sebastianelli. (Ed. Zona 2011). Da anni si occupa, inoltre, di divulgare la sua passione per la poesia, attraverso l’ideazione e la realizzazione di interessanti “video poetry” che è possibile visionare sul canale http://www.youtube.com/user/movenza