Il razzismo ha sempre fatto parte della nostra storia; se vogliamo, ne ha scandito il tempo, battendo i minuti e conducendo danze di sangue. La necessità di prevalere, l’esigenza di affermare la propria “superiorità” e l’istinto sfrenato di distruggere tutto ciò che è “estraneo” (o “nemico”?) sono stati pastori per greggi spaesati di uomini, portati ad armarsi gli uni contro gli altri, a guardarsi con sdegno e a sparare.
Governata da sentimenti così avversi, l’umanità è andata avanti per secoli, senza chiedersi come la situazione potesse migliorare, senza riconoscersi in ciò che siamo; il razzismo ha edificato le sue radici e fisso come un albero secolare fa da punto di riferimento a noi viaggiatori, perpetuo e immutabile nel tempo.
Penso al razzismo come qualcosa di terribilmente brutto, una piaga, o meglio, una malattia cronica.
Ricordo la ninna nanna “angosciante” che mi cantavano da bambina, diceva:
Ninna nanna, ninna oh,
Questo bimbo a chi lo do?
Se lo do all’uomo nero
Se lo tiene un anno intero!
Chi è quest’uomo nero? Perché ci hanno abituati ad avere paura di questa figura, a temere di conviverci?
Molti risponderebbero semplicemente che costui è un “mostro” e che il ritornello doveva essere un monito per far addormentare i bambini, ma questo “mostro” è parte della nostra realtà e questa appare continuamente tormentata dalla sua presenza.
Questo atteggiamento paranoico ci porta ad essere vulnerabili, ansiosi, quasi ciechi di fronte alla realtà dei fatti: vediamo l’umanità divisa in razze, ma non intendiamo di essere solo una delle specie viventi su questo pianeta.
Ci sentiamo potenti, ognuno è un monarca assoluto che regna sfrenato e incosciente di essere gonfio di vanagloria, non riconoscendo di occupare solo il gradino più basso della scala gerarchica universale. Col potere da noi creato e da noi assegnato, diciamo “sì”, ”no”, ”spara”, “passa”; scegliamo l’erba da mangiare e con chi condividerla, pensando di essere gli unici a dovercene cibare, ignari della grandezza del campo e della moltitudine dei brucanti.
Ma chi è questo mostro?
Per “uomo nero” potremmo intuire un uomo di colore, ma il significato può estendersi a tutti coloro che sono diversi da noi per il colore della pelle, la lingua, le abitudini, la religione, il ceto sociale, l’orientamento sessuale e politico.
La paranoia sfocia in un mare di sangue e andiamo avanti facendoci guerra gli uni gli altri per una causa irreale: non possiamo abbattere la biodiversità, essa scorre nelle nostre vene e arrestarne il corso significherebbe estinguerci.
Chiara De Santo