Maria Benedetta Cerro: quando la parola trema di eternità

Recensione di Lorenzo Spurio


Abbiamo creduto di essere vivi / […] / Eppure vivemmo / ma inconsapevolmente” (poesia “Perfezione dell’incontro” in Lo sguardo inverso, 2018; 102)

Da qualche anno l’editore Bonifacio Vincenzi ha raccolto, in seno al marchio editoriale Macabor, una collana di pubblicazioni poetico-saggistiche dedicate ai “poeti del sud” e ai “poeti del centro Italia”[1]. Volumi di particolare pregio, ben strutturati nelle loro componenti che vedono, dopo una presentazione biografica dell’autore del quale ci si occupa, delle testimonianze critiche di scrittori, saggisti e giornalisti sull’opera del dato poeta e, a continuazione, una sostanziosa scelta di liriche da quasi tutte le pubblicazioni che costituiscono la produzione poetica dell’autore preso in esame. Tra di essi – ma invito ad approfondire la conoscenza mediante il sito della casa editrice – ricordo quelli dedicati al poeta in lingua e in dialetto Pietro Civitareale, al poeta partenopeo Antonio Spagnuolo nonché alla poetessa romana Anna Cascella Luciani. Nel volume dedicato alla poetessa laziale Maria Benedetta Cerro – sul quale mi accingo a dire qualcosa – ritroviamo Spagnuolo citato nella folta produzione critica sull’opera della Cerro. Su di lei, che esordì in poesia nell’ormai non così vicino 1982 – hanno scritto nel tempo alcune tra le penne più insigni della critica nostrana. Voci che hanno letto, apprezzato e fatto oggetto di analisi, studi e approfondimenti la sua pregevole produzione lirica. Tra loro – ma invito a ricercare e ad appropriarsi del libro per una conoscenza che non sia lacunosa come quella che, per motivi di spazio, sono obbligato a “rischiare” – cito Elena Clementelli, Daniele Giancane, Ubaldo Giacomucci, Dante Maffia, Giorgio Bàrberi Squarotti, Francesco De Napoli, Vito Riviello, Plinio Perilli, Giuliano Ladolfi, Amerigo Iannacone, Anna Maria Curci, Rosa Elisa Giangoia, Giuseppe Napolitano e, appunto, Antonio Spagnuolo. Nomi ai quali – con una rilassatezza che mi proviene da una convinzione piuttosto unanime – non c’è senz’altro da aggiungere altro.

Il volume dedicato alla Cerro[2] – poetessa nata a Pontecorvo nel 1951 ma residente a Castrocielo, nel Frusinate, dal 1975 – porta quale titolo Quando la parola trema di eternità. Tema, questo dell’eternità, che, aggrovigliato a numerosi fili indistinti a quelli del tormento esistenziale, dell’assenza e del pensiero ricorrente della morte, fanno in qualche modo da padroni nel percorso creativo della Nostra.“Sarà di vuoto irreparabile / e fredda / l’eternità” ha scritto la Cerro in “Dimore delle altezze” (2) da “Le dimore sonore” in La congiura degli opposti (2012), p. 96 del testo.

Le testimonianze critiche che Vincenzi ha raccolto nel volume sulla Cerro sono state prodotte da Anna Maria Curci, Marta Celio, Francesco De Napoli, Marcello Carlino, Antonia Ventrone, Domenico Adriano, Tommaso Di Brango, Luca Lorenzini, Riccardo Scrivano e Alfonso Cardamone.

A Castrocielo nel 1975 la Cerro vinse il concorso magistrale ed entrò ordinaria nell’attività di insegnamento che ha esercitato per un quarantennio. La poesia, presente sin da giovane tra i principali interessi e quale naturale vocazione, è stata una felice costante nel corso della sua vita. Con Ipotesi di vita nel 1982 vinse la pubblicazione al noto Premio “Carducci-Pietrasanta” e l’opera sarebbe stata pubblicata in volume solo qualche anno dopo, nel 1987, con la preziosa postfazione di Raffaele Pellecchia per i tipi di Lacaita Editore. Nel frattempo era uscita la plaquette Licenza di viaggio, nel 1984 con Edizioni Dioscuri di Sora.

Da quel momento in poi non mancarono nuovi lavori che citiamo a continuazione: Nel sigillodella parola (1991), Lettera a una pietra (1992, contenente scritti di, tra gli altri, Ferruccio Ulivi e Giorgio Bàrberi Squarotti), Il segno del gelo (1997), Allegorie d’inverno (2003, risultata nella terna dei finalisti al rinomato Premio “Frascati-Antonio Seccareccia”), Regalità della luce (2009) sino alle opere più recenti: La congiura degli opposti (2012, vincitrice del Premio “Città di Arce”), Lo sguardo inverso (2018) e La soglia e l’incontro (2018).

Da Ipotesi di vita cito dalla poesia “Penombra” dove, nell’incipit, si legge: “Tu non tornare. / Ha un assetto la vita anche dopo la morte. / Qualcuno manca ma ignare restano le cose / […] / Tu non infrangere / la forzata quiete che m’impongo” (81). Parole che evidenziano un ampio scavo nella materia e un lavorio di cesello negli illimitati spazi della coscienza personale. Il pensiero-tormento della morte, quale tema presente e non eludibile, si conserverà in modi e forme diversenelle produzioni successive, unito spesso a quello dell’assenza e della difficoltà del ricordo.

La visione di minute e sparute luci nel denso oceano della notte della poesia “Lucciole” è foriera di versi di un miscuglio di passione e riflessione, di acuta osservazione e scandaglio nell’interiorità: “La notte è intenta a sospendere / nel buio piccole luci di passaggio / e tutta se ne allieta la via / in uno scialle avvolta di segreti. // […] / Potesse così frivolo il pensiero / farsi d’un tratto. // […] / Non vuole intendere / che non è spiacevole morire. / È come riposare da un gioco che non stanca” (da “Lucciole” in Lettera a una pietra, 1992; 85).

Particolarmente pregno di attenzione per lo scrivente è il nesso semantico dei concetti e parole-chiave di “assenza”, “vuoto” e “nulla”, terminologie che troviamo con assidua frequenza nell’opera della Nostra e che testimoniano l’atteggiamento speculativo caratteristico di una poetica di alta levatura e che, seppur non abbraccia direttamente i moniti del mondo civile, rigetta il solipsismo per offrire tentativi di lettura del mondo e di forme sperimentali di sopravvivenza a dilemmi e angosce esistenziali.

L’isotopia della mancanza della Cerro ha a che vedere con una circumnavigazione dell’indicibile che non ha pretese di facili soluzioni (“E ripenso che ciò che esiste da sempre / di te è invece la tua assenza”, dalla poesia “Alba sull’Autosole” da Ipotesi di vita, 1987; 82) ed è vissuta non con la desolazione del rimpianto e l’accecata sofferenza della solitudine ma, al contrario, è metabolizzata da forme del ricordo e dall’esperienza indelebile e totalizzante del sentimento che c’è stato – e che, se c’è stato, c’è ancora – come nella poesia “Variazioni sull’assenza”: “Qui non fa male l’amore che manca” (in Allegorie d’inverno, 2003; 91).

L’assenza presuppone la consapevolezza dell’avvenuta realizzazione di uno stato di mancanza, per sottrazione, allontanamento o negazione. Si tratta di una sorta di atto epifanico nel quale l’io realizza la compiutezza di un cambiamento che s’è introdotto, pur senza volerlo. C’è, però, traccia dell’antecedente coniugato a un’età in cui l’assenza era impronunciabile, incredibile o ritenuta lontana e inconcepibile: “Poiché sono sola e l’assenza / lascia un buco a forma di vento” (poesia da “L’orologio di Dalì” in Allegorie d’inverno, 2003; 90). La Cerro ci parla di un qualcosa che manca e, pertanto, non dovrebbe essere connotato perché difficilmente configurabile eppure non ne definisce i tratti nelle immagini fosche del baratro, dell’ombra, della perdizione in una verticalità che sprofonda. “Il vuoto è dolce” annota in “La torre di Scardanelli” a cui fa seguire “Sa d’immenso” (in La congiura degli opposti, 2012; 98). Nel medesimo libro, la riflessione sull’assenza o l’impossibilità di dire è esperita dalla Nostra come possibilità e diversione, occasione e nuova forma creativa coniugata a un animo resiliente che potrà traghettarla verso una nuova significazione: “Il nulla è. / Ma tu puoi colmarlo / e l’incompiuto si fa spinoso dono” (poesia “Dimore delle altezze” (1) da “Le dimore sonore” in La congiura degli opposti, 2012; 96).

Maria Benedetta Cerro: quando la parola trema di eternità, a cura di Bonifacio Vincenzi, Macabor Editore, Francavilla Marittima (CS), 2022.

Lorenzo Spurio


[1] I volumi che Macabor ha dedicato ai poeti del centro Italia vedono monografie attorno ai poeti (nell’ordine) Rodolfo Di Biasio, Dario Bellezza, Mariella Bettarini, Franca Maria Catri, Margherita Guidacci e Maria Benedetta Cerro.

[2] Per esattezza la prima parte del volume, quella monografica, dal momento che nella seconda parte c’è una sezione dedicata a poeti scomparsi e una terza che si occupa di vari autori contemporanei, secondo le linee organizzative della collana editoriale di Bonifacio Vincenzi.

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