Psicologia e comunicazione/ Il linguaggio del corpo

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Secondo i più recenti studi scientifici oltre il 60% della comunicazione umana è di natura non verbale. Oltre che con le parole ed i movimenti di cui siamo consapevoli, esprimiamo le nostre emozioni con gli occhi, con le mani, coi piedi e coi muscoli facciali. E’ un fatto noto che per l’essere umano il linguaggio del corpo si è sviluppato prima del linguaggio fatto di suoni e di parole.  Il linguaggio corporeo è legato allo stato emozionale dell’individuo, quindi per poterlo interpretare è fondamentale saper cogliere lo stato emozionale ma anche il contesto e le circostanze in cui avviene una comunicazione. Secondo l’antropologo statunitense Ray Louis Birdwhistell  esiste un paralinguaggio fatto di movimenti corporei che danno luogo ad una grammatica che può essere analizzata al pari del linguaggio verbale. In altre parole attraverso lo sviluppo di un’attenta capacità di osservazione è possibile decifrare il senso del linguaggio non verbale dell’individuo che sta comunicando con noi. Nonostante esistano numerose e significative differenze culturali i principali segni e gesti corporei risultano essere gli stessi dappertutto. Fra i gesti cosiddetti universali troviamo ad esempio il sorriso quando siamo felici, oppure l’accigliarsi del volto quando ci sentiamo tristi, oppure un cenno della testa come risposta affermativa, un oscillare la testa da un lato all’altro per negare, anche alzare le spalle e poi farle ricadere per indicare che non si sa di cosa si sta discutendo pare sia anch’esso un gesto universale. Per comprendere il linguaggio del corpo bisogna per prima cosa inserire il singolo gesto dentro una sequenza più vasta, al pari del linguaggio verbale anche il linguaggio non verbale ha le sue parole, le sue frasi, la sua punteggiatura. Per comprendere il linguaggio del corpo bisogna analizzare i gesti nel loro insieme, ad esempio grattarsi in testa può significare incertezza o più semplicemente può denotare un problema di forfora! Un’altra  cosa fondamentale da considerare quando si tenta di comprendere il linguaggio del corpo è la coerenza fra linguaggio verbale e linguaggio non verbale, bisogna allenarsi ad osservare se esiste una discrepanza fra le parole e i gesti e gli atteggiamenti del corpo. Altra cosa importante è analizzare sempre il contesto in cui certi gesti accadono. Ad esempio se una persona sta al freddo con le braccia e le mani incrociate e con il viso chino non vuol dire che è sulle difensive ma forse sta così perché potrebbe avere freddo! Anche le mani ed i palmi nello specifico sono indicatori di linguaggio corporeo, cioè esprimiamo molte cose con le mani e con i palmi delle mani. Infatti i palmi aperti e rivolti verso l’interlocutore sono indice di onestà e di schiettezza, viceversa quando si mente contemporaneamente si tende a nascondere o comunque a celare i palmi all’altro con cui interagiamo. Quindi da un’acuta osservazione dei palmi del nostro interlocutore è possibile capire se sta dicendo una menzogna o la verità o meglio se c’è correlazione o discordanza fra linguaggio verbale e linguaggio non verbale, questo perché i gesti sono molto correlati ai sentimenti. Mediante l’uso del palmo si impartiscono informazioni di potere, se il palmo è rivolto verso l’alto, per intenderci come se stessimo per chiedere carità, è un gesto non minaccioso quasi di sottomissione. Dal palmo verso l’alto infatti deriva il mettersi il palmo sul cuore per indicare sincerità ed onestà. Viceversa se il palmo è rivolto verso il basso, come nel saluto fascista ad esempio, è un segno che trasmette autorità ed è un gesto altamente competitivo. La mano chiusa col dito puntato è uno dei gesti più violenti che indica simbolicamente un bastone con cui si vorrebbero bastonare i propri interlocutori ed è precursore del braccio sollevato e pronto a colpire tipico di molti primati. In Malesia e nelle Filippine additare una persona è un insulto, questo gesto viene rivolto solo agli animali. Anche mediante una stretta di mano si possono comunicare diverse cose: sottomissione, dominanza e uguaglianza. In pratica mediante un’attenta osservazione di come il nostro interlocutore ci stringe la mano possiamo ricavare informazioni sulle intenzioni relazionali, se vuole essere dominante, sottomesso o se sta cercando una relazione paritaria. Per stabilire una stretta di mano che simboleggi una relazione paritaria bisogna assicurarsi che i palmi di entrambe siano verticali, quindi che nessuno dei due sia in posizione di sottomissione o di predominio e che entrambe le persone impartiscano la stessa forza alla loro stretta di mano. Se ci troviamo di fronte una persona prevaricatrice e prepotente, molto probabilmente ci darà la mano col braccio teso e col palmo verso il basso. Allora per sottrarci al rapporto di dominanza che ci vuole imporre possiamo adottare due semplici stratagemmi: avanzare il piede destro poco prima di porgere la mano destra per costringerlo a darci la mano normalmente o usare la mano sinistra per raddrizzare la nostra mano destra e metterla in posizione verticale ristabilendo così un rapporto di parità. Questo gesto di bloccare le mani dell’interlocutore con tutte e due le proprie mani indica oltre che chiaramente una volontà di controllo dell’altro anche sincerità, fiducia e profondità di sentimenti nei confronti del proprio interlocutore. Fra le più brutte strette di mano ricordiamo: la stretta di mano a pesce morto con la mano fredda e sudaticcia, la stretta di mano a morsa che denota la volontà di prevaricare, la stretta di mano a tritaossa variante più violenta di quella a morsa ma dallo stesso valore simbolico, la stretta di mano con la presa delle punta delle dita che denota scarsa autostima, la stretta di mano a braccio rigido variante della stretta di mano a morsa o a tritaossa con lo stesso significato simbolico, la stretta di mano a presa di chiave che consiste nel tirare bruscamente il nostro interlocutore verso di noi chiara mossa per stabilire un potere nella relazione, la stretta di mano con la presa a pompa molto energica che consiste nello stringere molto forte e nel fare movimenti in giù ed in su molto velocemente e che anch’essa si situa fra le strette di mano inerenti il potere ed infine la stretta di mano all’olandese che è una variante del pesce morto solo con la mano rigida. Altra modalità comunicativa non verbale o un altro linguaggio corporeo è il sorriso. Un sorriso in generale è vero quando oltre alla bocca riguarda anche gli occhi, nel sorriso dettato da piacere e non dall’obbligo i muscoli ai lati della bocca sono rivolti verso l’alto e i muscoli perioculari sono contratti, dando origine alle cosiddette zampe di gallina ai lati degli occhi. Secondo Paul Ekman e Wallace Friesen ideatori di un sistema di codificazione dei movimenti facciali, il sorriso sarebbe una risposta del cervello inconscio e quindi automatica. Quando il sorriso è sincero in maniera inconscia ed automatica si muovono i muscoli della faccia, si sollevano le guance, si tendono i muscoli perioculari e si abbassano le sopracciglia. Fra i primati, gli scimpanzé usano il sorriso per indicare all’animale più forte la propria sottomissione. Dagli studi sui neuroni a specchio di Ruth Campbell, è stato dimostrato che il sorriso è contagioso, in pratica se sorridiamo abbiamo più facilità di ottenere una risposta simile da chi ci sta di fronte e con cui stiamo interagendo. Quindi la capacità di decifrare un sorriso è innata ed è collegata alla sopravvivenza, infatti ricordiamo che il sorriso è un segno di sottomissione ed anche un gesto di non belligeranza. Quando sorridiamo senza mentire, entrambi gli emisferi cerebrali funzionano in modo tale che le espressioni facciali siano simmetriche, viceversa quando ridiamo a finta il sorriso è più marcato su un solo lato. Secondo Paul Ekman un falso sorriso compare più in fretta rispetto ad uno autentico e poi rimane anche più a lungo quasi come fosse una maschera. In genere un finto sorriso viene controllato e deve sempre essere inserito in un contesto più allargato. Fra i vari tipi di sorriso ricordiamo: il sorriso a labbra tirate, che è indice di un segreto che non si vuole condividere con gli altri, poi c’è il sorriso storto che indica sarcasmo, il sorriso a mandibola abbassata che è tipico di chi vuol dare l’impressione che sta ridendo o scherzando, inoltre abbiamo un sorriso con lo sguardo di traverso tipico delle persone che vogliono sedurre o che comunque è una richiesta di protezione, infine abbiamo un sorriso alla George Bush, un sorriso da presidente degli stati uniti stampato sulla faccia e rassicurante! Quando si ride tutti gli organi del corpo ne beneficiano in maniera positiva, quindi si può ben dire che il ridere dal punto di vista medico fa bene: perché abbassa la frequenza cardiaca, dilata le arterie, aumenta l’appetito e contribuisce a bruciare calorie. Le persone che ridono o sorridono stimolano la zona cerebrale situata nell’emisfero sinistro e collegata al benessere psicofisico. L’umorismo ha un effetto positivo sul controllo dello stress, infatti il riso stimola la produzione di endorfine che sono in grado di alleviare lo stress e di guarire il corpo. Esistono innumerevoli studi e ricerche sulla funzione delle endorfine che esercitano un effetto tranquillizzante sull’organismo e rafforzano le difese immunitarie. Secondo Paul Ekman il sorriso ed il volto che sorride sono in grado di influenzare il nostro sistema nervoso autonomo come un sistema retroattivo: più siamo circondati da persone che sorridono e più il nostro sistema nervoso autonomo rilascia endorfine e più siamo sorridenti, viceversa se interagiamo con persone tristi ed infelici automaticamente il nostro sistema nervoso autonomo secerne meno endorfine e di conseguenza anche noi diventiamo più cupi e più tristi. Se l’ambiente è importante per la salute psicofisica delle persone si capisce bene l’idea rivoluzionaria di Patch Adams che negli anni ’80 fece creare negli ospedali in cui lavorava le famose stanze del sorriso. Il sorriso facilita la creazione di legami interpersonali. Anche attraverso la gestualità delle braccia comunichiamo, quando abbiamo un atteggiamento teso, negativo e difensivo molto probabilmente incroceremo le braccia all’altezza della cassa toracica. Anche questo è un gesto innato ereditato dai primati che quando devono proteggersi da un attacco frontale proteggono il cuore ed altri organi fondamentali. In genere avere le braccia incrociate e conserte, un gesto tipicamente difensivo, può avere effetti negativi in una relazione dato che comunica alle persone con cui stiamo interagendo disaccordo ed estraneità e conseguentemente causa una risposta negativa da parte degli altri. Un modo molto semplice per indurre una persona a disincrociare le braccia, quindi a modificare il suo atteggiamento da una posizione difensiva ad una posizione collaborativa, è porgerle qualcosa o chiederle di aiutarci a fare una cosa che impieghi le sue mani e le sue braccia. Invece se abbiamo i pugni chiusi e le braccia incrociate siamo in un atteggiamento ostile e difensivo, se poi aggiungiamo ai pugni chiusi ed alle braccia incrociate anche un sorriso a labbra tirate, denti stretti e colore paonazzo allora in quel caso siamo pronti per un’aggressione verbale dell’altro con cui stiamo interagendo! A volte delle braccia incrociate forte possono anche denotare una “sorta” di auto abbraccio, ad esempio quando siamo in una sala di attesa di un medico o se stiamo per prendere per la prima volta un aereo. Incrociare le braccia avendo i pollici alzati invece indica quasi sempre un atteggiamento di difesa ma anche una certa sicurezza di se. Dunque osservare e leggere il linguaggio del corpo del nostro interlocutore prima che egli verbalizzi una sua risposta può aiutarci in tante circostanze, dai normali rapporti interpersonali ad una seduta psicoterapeutica. Un’altra variante dell’abbraccio è la posizione con una mano che cinge l’altro braccio tipicamente femminile, oppure le mani a zip, a protezione dei genitali, tipicamente maschile.  Una persona ansiosa tende a toccare di continuo il cinturino dell’orologio o il portafoglio, può sfregarsi le mani in continuazione o toccare i bottoni del polsino della camicia. Tutti questi gesti, normalmente definiti “tic”, sono indici oltre che di un sentimento collegato all’ansia, anche di un qualcosa collegato all’abbraccio, la creazione di uno spazio protetto in cui poter essere abbracciati. A volte basta toccare lievemente sul gomito una persona con cui stiamo interagendo per ottenere più facilmente ciò che vogliamo. Questo accade frequentemente perché con questo tipo di tocco comunichiamo vicinanza pur essendo lontani da zone intime e non causiamo una reazione di difesa nell’altro. Come dicono Allan e Barbara Pease: “Purché fatto con discrezione, il tocco della mano o del gomito attira l’attenzione, corrobora un’affermazione, sottolinea un concetto, aumenta la vostra influenza sugli altri colpisce l’immaginazione e genera un’impressione positiva tra i presenti”. Le nostre mani hanno una serie di ossa, recettori nervosi, tendini e muscoli talmente ben collegati al nostro cervello che da una loro attenta ed acuta osservazione si possono trarre tante informazioni sullo stato d’animo della persona che stiamo osservando e con cui stiamo interagendo. Fra i gesti che effettuiamo con le mani e con i quali comunichiamo ricordiamo: lo sfregarsi le mani per indicare una prospettiva allettante, infatti si sfrega le mani il giocatore di dadi nella speranza di vincere, un maestro di cerimonie per annunciare l’oratore, un addetto alle vendite nell’ufficio del proprio capo dopo una buona riuscita del proprio lavoro. Poi altro gesto effettuato con le mani è lo sfregarsi indice e pollice per indicare il denaro o questioni attinenti ai soldi. Le mani giunte con le tre varianti: mani giunte davanti al viso, mani giunte in grembo e mani giunte all’altezza dell’inguine che denotano un sentimento di frustrazione o un tentativo di nascondere un sentimento negativo o uno di stress. Le mani giunte a guglia che sono tipiche di chi si sente superiore e sicuro di se. Esistono essenzialmente due tipi di mano giunte a guglia: una a guglia alta tipica di chi da un parere, di chi parla ed una a guglia bassa che è tipica più di chi ascolta. Un gesto tipico del corteggiamento è il cosiddetto gesto del piatto, ossia quello di mettersi le mani sotto il mento e guardare il nostro interlocutore come se il nostro viso glielo stessimo porgendo su un piatto affinché lei o lui lo guardi. Quando una persona ha le mani dietro la schiena è perché vuole comunicare sicurezza di se, senso di superiorità e potere, infatti simbolicamente sta dicendo: io non ho paura di te o di voi con cui sto interagendo a tal punto che vi mostro le mie parti più delicate, cioè ventre, cassa toracica con il cuore e volto  senza assumere nessuna posizione difensiva. Però a seconda della posizione delle mani dietro alla schiena si possono trarre informazioni sullo stato emotivo della persona, ad esempio se uno ha il palmo nel palmo indica appunto sicurezza di se, senso di superiorità e potere, viceversa se con una mano si afferra il braccio ciò è indice di frustrazione e di un tentativo di autocontrollo. In pratica tramite questo gesto il soggetto tenta di mascherare il proprio nervosismo e contemporaneamente cerca di mantenere il proprio autocontrollo. In genere i gesti fatti col pollice denotano un senso di superiorità, un atteggiamento presuntuoso, anche se spesso indicano che si approva un gesto altrui o per indicare che la persona con cui stiamo interagendo è in gamba. I pollici vengono usati sempre per indicare potere o situazioni comunque collegate ad esso. Basta ricordarsi che fin dai tempi dell’antica Roma il pollice verso l’alto voleva dire che l’imperatore salvava la vita al gladiatore e viceversa il pollice verso il basso voleva dire che lo condannava a morte. Allan e Barbara Pease distinguendo fra bugie bianche dette a fin di bene e bugie malevole atte ad ingannare il prossimo a proprio vantaggio, affermano: “Se diceste sempre la verità a tutti, non solo finireste col vivere in solitudine, ma anche per essere ricoverati in ospedale o rinchiusi in carcere, le piccole menzogne, le cosiddette bugie bianche, sono l’olio che lubrifica le interazioni sociali, il fattore che ci consente di mantenere buoni rapporti col prossimo”. Quando tentiamo di dire una bugia, il nostro viso e il nostro corpo parlano da soli ed esprimono sempre le nostre emozioni profonde. La difficoltà nel mentire consiste appunto in questa discrepanza inconscia ed automatica fra i nostri sentimenti profondi e quello che lasciamo trasparire. In pratica quando mentiamo la nostra mente inconscia invia messaggi o impulsi nervosi che inducono il corpo a compiere gesti o atti che sono in contrasto con ciò che stiamo affermando. Fra i gesti più comuni indicativi di menzogna ricordiamo: la mano sulla bocca come a volere simbolicamente bloccare le proprie o le altrui bugie, anche toccarsi il naso a meno che non si abbia un raffreddore o un’allergia indica che la persona sta dicendo o sta ascoltando una menzogna. Il toccarsi il naso mentre si mente è dovuto al rilascio di catecolamine che determinano gonfiore dei tessuti nasali interni e quindi prurito. Si chiama “effetto Pinocchio” il prurito indotto dall’aumento della pressione sanguigna che dilata il naso e che stimolando le terminazioni nervose genera appunto prurito che induce il soggetto che sta interagendo con una menzogna a strofinarsi il naso. Altro gesto che può essere collegato alla menzogna è lo stropicciarsi l’occhio in cui è come se il nostro cervello inconscio non volesse simbolicamente vedere l’inganno o la faccia della persona a cui si sta tentando di mentire. Anche sfregarsi l’orecchio potrebbe voler simboleggiare che la persona è stanca di ascoltare menzogne. Infine anche grattarsi il collo e scrostarsi il colletto della camicia o della maglia in determinati contesti simboleggiano che la persona sta interagendo con la menzogna. Quasi tutti i gesti di avvicinamento delle mani al viso sono collegabili alla menzogna tranne il portarsi le mani in bocca che rimane un gesto di ricerca di sicurezza, una ricerca di rassicurazione che affonda le origini nella nostra infanzia quando da neonati succhiavamo il capezzolo della nostra mamma o quando mettevamo il pollice in bocca da piccolini. Esiste tutta une serie di gesti o movimenti di avvicinamento delle mani al viso che ci informano sul grado di interesse reciproco rispetto alle comunicazioni fra noi e i nostri interlocutori. Ad esempio quando il nostro interlocutore comincia a reggersi la testa con la mano vuol dire che probabilmente si sta annoiando, battere ritmicamente le dita sul tavolo come su un tamburo o i piedi per terra indica impazienza, tradotto potrebbe voler dire che il nostro interlocutore non vede l’ora che finiamo la nostra conversazione! Fra i gesti che informano sul grado di interesse ricordiamo il pugno chiuso sotto il mento col dito indice sollevato che indica un gesto di cortesia, tradotto potrebbe voler dire che nonostante col tuo discorso mi stai annoiando io resisto e ti ascolto. Invece se con una mano la avviciniamo lievemente al nostro viso senza sorreggerci la testa in quel caso comunichiamo un vero interesse al nostro interlocutore. Il gesto di sfiorarsi lievemente il mento è indicativo di un processo decisionale in atto, in pratica quando portiamo lievemente la mano e ci sfioriamo il mento stiamo decidendo. Fra gli altri gesti che ci informano sul prendere tempo o per effettuare una scelta ricordiamo, il portarsi una penna in bocca ed il mettersi la stanghetta dei propri occhiali in bocca. Sfregarsi la nuca e darsi una pacca sulla testa indicano invece rispettivamente fastidio e dimenticanza. La prima cosa che facciamo quando incrociamo qualcuno è la ricerca del contatto visivo. In particolare gli occhi sono la parte anatomica del corpo che fornisce più informazioni  in tema di linguaggio del corpo, in particolare le pupille che non sono controllabili dall’individuo sono uno scrigno di informazioni. In generale le pupille tendono ad allargarsi quando ci troviamo in uno stato d’animo positivo, quando siamo eccitati.  Viceversa  si restringono quando siamo in uno stato d’animo negativo, quando siamo tristi o arrabbiati. Gli occhi sono importantissimi nel corteggiamento, quando si guardano negli occhi due innamorati cercano inconsapevolmente un dilatamento pupillare nell’altra o nell’altro, una volta sintonizzati sul dilatamento pupillare comincia la fase di eccitazione. Inoltre la dilatazione delle pupille è contagiosa, quando vediamo una persona con le pupille dilatate tendiamo a dilatare le nostre in modo involontario ed automatico. L’essere umano è l’unico fra i primati a possedere la sclera, cioè la parte bianca del globo oculare. Questo fatto dal punto evolutivo e comunicativo è fondamentale poiché permette di capire in che direzione è rivolto lo sguardo degli altri e siccome lo sguardo è intimamente connesso allo stato d’animo si può dire che è un’importante fonte di informazione delle emozioni degli altri con cui interagiamo. Un gesto innato è lanciare un’occhiata a distanza, che nel linguaggio del corpo potrebbe equivalere grosso modo a dire: ti riconosco e non sono una minaccia! Il gesto di abbassare le sopracciglia denota un atteggiamento di predominio o aggressività, viceversa alzarle indica sottomissione. Il gesto tipicamente femminile di sgranare gli occhi scatena nel maschio il rilascio di sostanze ormonali che stimolano a loro volta il desiderio di difendere e di proteggere la femmina. Anche il gesto innato di abbassare la testa e guardare dal basso verso l’alto stimola nel maschio lo stesso rilascio di ormoni che portano poi a difendere ed a proteggere la femmina, questo gesto di abbassare la testa e  guardare dal basso verso l’alto è un gesto innato in grado di stimolare le cure parentali di un genitore verso i propri figli. Alcune donne sono particolarmente abili nel mettere in pratica la seguente serie di gesti che hanno una notevole influenza nel comunicare al maschio disponibilità sessuale essendo gesti che in genere accadono poco prima di un orgasmo: abbassare le palpebre, sollevare contemporaneamente le sopraciglia, guardare verso l’alto e socchiudere le labbra, alla Marylin Monroe! Come per le maggior parte degli altri gesti e degli altri segni corporei anche lo sguardo e la sua durata  sono soggetti alla cultura di appartenenza, ad esempio in Giappone è regola sociale evitare di prolungare lo sguardo verso un’altra persona. In genere però quando due persone incrociano lo sguardo anche se è la prima volta la persona dominante resiste maggiormente rispetto alla persona non dominante che è spesso la prima a distogliere lo sguardo. Distogliere lo sguardo potrebbe essere in un certo senso sempre collegato alla dinamica dominanza / sottomissione. Se manteniamo lo sguardo per molto tempo ed abbiamo le pupille dilatate indichiamo  che troviamo interessante ed affascinante il nostro interlocutore, viceversa se abbiamo le pupille contratte significa molto probabilmente che abbiamo sentimenti ostili verso il nostro interlocutore. La maggior parte dei primati in maniera inconscia ed automatica usa distogliere lo sguardo per comunicare al proprio interlocutore la propria sottomissione, invece se guarda fisso negli occhi vuol dire che probabilmente sarà aggressivo. L’occhiata di traverso se è associata alle sopracciglia sollevate ed al sorriso può essere un tipico segnale di corteggiamento, viceversa se è associato alle sopracciglia abbassate, alla fronte corrugata ed agli angoli della bocca all’ingiù può essere un segnale che comunica ostilità. Il  battito delle palpebre prolungato, in genere può essere collegato a disinteresse, dato che potrebbe simboleggiare un tentativo inconscio ed automatico di escludere il nostro interlocutore dalla nostra vista e dai nostri pensieri. I tre principali tipi di sguardo sono: lo sguardo sociale che è il più diffuso, lo sguardo intimo più ravvicinato e lo sguardo di potere che consiste nel fissare il proprio sguardo esattamene fra gli occhi del nostro interlocutore come se avesse un terzo occhio sulla sua fronte. Lo sguardo di potere può essere utile per bloccare qualsiasi scocciatore! Secondo Grinder e Bandler, fondatori della Programmazione Neurolinguistica, i movimenti oculari sono intimamente collegati a ciò che pensiamo o che ricordiamo. In pratica se stiamo ricordando qualcosa che abbiamo già visto alziamo gli occhi verso l’alto, se stiamo ricordando qualcosa che abbiamo già ascoltato spostiamo gli occhi lateralmente e contemporaneamente abbassiamo la testa, se invece stiamo ricordando sensazioni e sentimenti i nostri occhi li spostiamo in basso verso destra ed infine se stiamo dialogando silenziosamente con noi stessi i nostri occhi li spostiamo in basso a sinistra.  Lo spazio personale, che è determinato anche dalla propria cultura di appartenenza, qua da noi e nella stragrande maggioranza dei popoli occidentali si suddivide in quattro zone. La zona intima che va dai 15 ai 46 centimetri è la più preziosa, è anche quella che difendiamo maggiormente. L’accesso a questa zona intima è permessa a persone a noi care: parenti, amici stretti e partner. Dai 46 ai 122 centimetri c’è la cosiddetta zona personale riservata alle interazioni relative alle feste, alle riunioni fra amici e ad altre funzioni sociali. Poi da 122 a 360centimetri ci sta la zona sociale in cui interagiamo con gli estranei. Infine c’è una quarta zona, la cosiddetta zona pubblica, in cui interagiamo ad esempio quando ci troviamo in una folla di persone a noi estranea.  Esiste una regola tacita, secondo cui, bisogna mantenere una certa distanza dalla persona con cui interagiamo le prime volte, dato che quanto più profondo diventa il rapporto, tanto più una persona ci permette di entrare nei suoi spazi. In genere maggiore è la sintonia fra le persone, minore è la distanza nella quale si pongono nello spazio. Le zone spaziali che sentiamo nostre aumentano o diminuiscono in base all’ambiente in cui abbiamo vissuto: una persona che proviene da un ambiente non molto popolato abituata quindi ad avere una zona intima e personale maggiore avrà bisogno del proprio spazio anche in un ambiente molto popolato. Viceversa una persona che proviene da un ambiente scarsamente popolato avrà bisogno di minore spazio. Come affermano gli stessi Allan e Barbara Pease: “La distanza spaziale che un individuo pone fra se ed il prossimo è influenzata da numerosi fattori, che è opportuno considerare prima di formulare giudizi affrettati”.  Dal punto di vista evolutivo nell’essere umano l’uso delle gambe è servito da sempre per fuggire da un pericolo o per avvicinarsi ad una cosa piacevole, quindi da un’attenta osservazione dell’utilizzo delle gambe si può capire se una persona vuole andare via o se si vuole avvicinare a noi. In altre parole dato che queste due funzioni, fuggire e avvicinarsi, sono insite nel cervello umano, la maniera in cui usiamo le gambe ed i piedi rivela la volontà o meno di andare via o rimanere, dunque dal punto di vista simbolico la voglia o meno di comunicare. In genere la posizione a gambe aperte e divaricate indica un atteggiamento dominante e aperto, viceversa la posizione a gambe incrociate può essere spia di incertezza e chiusura. Ci sono quattro modi di stare in piedi: stare sull’attenti che denota un atteggiamento neutro, stare a gambe divaricate indicativo di un atteggiamento dominante, stare con un piede in avanti in cui bisogna osservare dove viene puntato il piede, ad esempio in un gruppo il piede viene puntato verso la persona che riteniamo più affascinante o quando intendiamo andare via lo puntiamo verso l’uscita. Infine lo stare a gambe incrociate indica un atteggiamento di chiusura. Il fatto che quando si entra in sintonia con degli interlocutori che non si conoscono si passa dall’avere gambe incrociate alla posizione a gambe sull’attenti e poi man mano fino a giungere a posizioni a gambe divaricate, sembra appartenere a quasi tutte le culture del mondo. Quando qualcuno o qualcuna partecipa veramente ad una interazione o ad una conversazione i piedi sono disincrociati e ben visibili. Se vogliamo indurre i nostri interlocutori a disincrociare le caviglie e ad interagire con noi possiamo provargli a chiedere cosa pensano e cosa sentono in quel momento, questo unito magari ad una mossa di avvicinamento laterale permette ai nostri interlocutori di passare dalla difesa all’apertura. Fra i gesti più comuni che permeano la nostra quotidianità ricordiamo: il cenno con la testa che quasi ovunque indica un affermazione, inoltre l’annuire è un gesto positivo che si propaga anche in maniera automatica ai nostri interlocutori. Lo scuotere la testa per indicare un disaccordo è anch’esso un gesto innato ed automatico. La posizione della testa diritta indica un atteggiamento neutrale, invece la posizione della testa inclinata di lato pare sia collegata ad un atteggiamento di sottomissione. Infine la testa china potrebbe essere collegata ad un atteggiamento negativo, critico o aggressivo. In generale abbassare la testa è comunque collegato alla dinamica dominanza / sottomissione. Fra i gesti più comuni ricordiamo i cosiddetti gesti di distrazione come ad esempio levarsi peli o qualsiasi altra cosa dal vestito che potrebbero esprimere un atteggiamento o un sentimento di disaccordo con quello che si sta ascoltando nonostante apparentemente la persona sembri distratta. Portare le mani sui fianchi, da parte di un uomo, potrebbe simboleggiare che è pronto a fare qualcosa. Allo stesso modo di quanto accade in natura a molte specie animali che nel tentativo di aumentare il proprio volume corporeo si gonfiano d’aria per cercare di impaurire il proprio avversario, lo stesso sembra appartenere anche all’uomo che appunto mette le mani sui fianchi indicando automaticamente di essere pronto per agire. Fanno parte dei gesti comuni nella quotidianità anche la posizione del cowboy con i pollici infilati nella cintura e il dorso delle mani a protezione dei genitali, sedersi a gambe divaricate o sedersi con una gamba su un bracciolo della sedia tipico dell’uomo che vuole comunicare un atteggiamento autoritario, sedere a cavalcioni su una sedia con lo schienale rivolto agli interlocutori indicativo di un atteggiamento di difesa, la posizione con le mani dietro la nuca od infine i cosiddetti gesti di prontezza all’azione come ad esempio la posizione dello scattista. E’ importante saper cogliere il significato di un gesto corporeo. Saper leggere il linguaggio del corpo è molto utile perché permette di comprendere quello che il nostro interlocutore sta comunicando, il suo stato d’animo in quel momento. Riferendosi agli oggetti che usiamo nella vita quotidiana ed in particolare alle sigarette, al trucco e agli occhiali dicono Allan e Barbara Pease: “Indipendentemente dal tipo di oggetto che maneggiamo, da ciò che indossiamo o fumiamo, compiamo segnali e riti particolari senza accorgercene. Quanti più oggetti usiamo allo scopo, tanto più comunichiamo intenzioni e sentimenti. Imparare a leggere tali segnali ci consente di ottenere ulteriori indizi per capire meglio l’interlocutore”. In qualsiasi incontro a quattr’occhi quando uno dei due interlocutori decide di terminare la conversazione nonostante rimanga con lo sguardo verso l’interlocutore orienta il corpo verso l’uscita più vicina. Questo accade perché il corpo va dove la mente vuole. Si può usare positivamente il linguaggio del corpo adottando alcuni piccoli accorgimenti come ad esempio sorridendo e cercando di essere espressivi, usando la gestualità ma senza diventare invadenti, facendo brevi movimenti con la testa per annuire mentre gli altri parlano, mantenendo il contatto visivo per il tempo giusto, mantenendo una giusta postura protesa leggermente in avanti verso l’interlocutore che sta comunicando, rispettando e non invadendo il territorio dei nostri interlocutori. Come dicono Allan e Barbara Pease che ci hanno guidato in questo viaggio alla ricerca di significati e simbolismi del linguaggio corporeo: “Modificando il linguaggio corporeo è possibile cambiare molti aspetti della nostra vita. Quando cambiamo il linguaggio del nostro corpo cambiamo anche il nostro modo di interagire con gli altri, che di conseguenza reagiranno in maniera diversa”.

  Mariano Lizzadro

 

L’ispirazione, le citazioni e tutto quanto sono tratti da: “Perché mentiamo con gli occhi e ci vergogniamo coi piedi?” di Allan e Barbara Pease, ed. BUR Rizzoli, 2016

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