‘Il Canto della Moabita’ di Sergio Daniele Donati


C’è distanza tra parlare e dire.
 lo puoi capire solo se la Parola è sacra per te
e il Silenzio è la tua guida.
(S. D. Donati)

‘Il Canto della Moabita’ di Sergio Daniele Donati è stato pubblicato nel settembre del 2021 per le Edizioni Ensemble ed è una silloge che nasce dal viaggio interiore nell’antica regione della Palestina, a oriente del Mar Morto dove “La Moabita, /davanti al pozzo,/ cantava, /e il mio viaggio/ terminava là /nella terra del miracolo.// Mi chinavo ai suoi piedi,/ cieco, muto, udente. (p.13).

La raccolta, pervasa da un’autentica e intensa spiritualità, passione e grande disciplina razionale, si apre con una prosa dell’Autore ‘Inciampare nel Silenzio’ e si articola in tre momenti: Nel Regno del Silenzio, Nel Regno del Sogno, Nel Regno della Parola.

Si tratta di una poesia ricca di riferimenti mitologici e della tradizione religiosa ebraica, stimolante e coinvolgente, i cui temi portanti sono l’anelito all’elevazione, l’evasione dalla vita reale e l’aspirazione a cogliere l’essenza più intima e intangibile delle cose.

Vi dominano il silenzio, il sogno e la ricerca di una ‘parola’ che nella sua umiltà e unicità, illumini e sveli un «pensiero incarnato» e non semplicemente l’aspetto esteriore di un pensiero. Per S. D. Donati è nel silenzio che possiamo sentire la nostra vera essenza, senza che il rumore, anche quello creato dalla mente, possa distrarci e allontanarci da noi stessi.

“La parola sorge dal Silenzio e al Silenzio torna. In mezzo, la balbuzie umana tende fili di significato sognato, cercato. (…) La parola sorge dal Silenzio e al Silenzio torna, conscia di aver detto solo il contorno di un firmamento indicibile”. (Inciampare sul Silenzio, p.9)

Echeggia in tutta la raccolta la consapevolezza del grande potere delle parole, perché– come scriveva Rahner – sono doni di Dio e non invenzioni umane, anche se è grazie alla tradizione degli uomini, che sono potute giungere sino a noi.

“Esiste un vento,/un vento divino; /plana lento sugli abissi/ prima d’ogni parola./ Non cedo alla tentazione /di dargli nome”. (p.19); 

E’ per questo che la parola di S. D. Donati è sempre profonda ed incisiva, con la terra attaccata alle radici, i cui significati sono gemme e conchiglie che risuonano, svelano nessi, legami e segreti tra le cose, schiudono misteri davanti ai quale si rimane scoperti e nudi.
Ci troviamo di fronte a una concezione mistica del linguaggio che ricorre frequentemente alla simbologia e che si fonda sulla soggettività e sull’intuizione. I suoi versi sono brevi, fluidi e musicali, caratterizzati da un’accentuata musicalità carica di una forza misteriosa, metaforica ed evocativa.

Ma in S.D. Donati c’è anche la consapevolezza che le parole stesse costituiscono un limite, il limite della nostra finitezza e del nostro essere imperfetti. La parola dell’uomo è solo parola infatti. Manca dell’onnipotenza di creare quanto essa annunzia, contrariamente alla Parola dei Profeti e del Dio vivente. Solo attraverso un sapiente utilizzo del silenzio si può andare oltre i limiti delle parole, prendendo consapevolezza che il silenzio stesso a volte può colmare tali limiti.

Da dove viene la mia parola/ se non dai tuoi silenzi, padre?/ Da dove viene la mia domanda/ soffiata alle stelle,/ se non dalla tua assenza? (p.72)

S. D. Donati, è un poeta intimo e speculativo, che rivela in questa raccolta tutta la sua umanità, la grande consapevolezza degli autentici valori umani, come obiettivi da raggiungere. Anche di fronte al dolore o alle difficoltà, la speranza è  linfa vitale ed energia, voce che canta incessante, che non dispera ma continua ad invocare, nella consapevolezza che nessuno basta a se stesso.

“Ci sosteniamo l’un l’altro/ e ci sfida la gravità./ Un peso, lento, innaffia/ la parola che custodiamo/ più profonda:/ speranza” (p.30)


A Edmond Jabès, il Maestro

Che poi, forse, se,
invece d’incagliarci
nei nostri specchi,
invece di balbettare
stentate, parole,
barbare, balbuzienti,

se invece che rifiutare
ogni silenzio,
vomitando suoni
gutturali, spinti da
chissà quale impulso,

ci arrendessimo
ai nostri limiti,
e accogliessimo infine
la fine d’ogni nostro intento,

e fermassimo quell’urlo sgraziato,
che ci fa ripetere sempre e solo
«Io, io, io»,

se finalmente il vento
accogliesse
i nostri pianti e irrigasse
le terre aride
che ci impolverano i piedi,
e ci sedessimo
su quella pietra,
ad ascoltare il canto,
che lento si fa strada,
sulla via della nostra fine,

se ci specchiassimo
nei volti dei poeti
prima di rubare i loro lemmi,
e tentare voli di tacchino,
tramutando in strozzi
parole antiche,

se guardassimo
quelle pieghe della pelle,
dove tutto è scritto,
prima della parola,
prima dell’incontro
e dell’incaglio,
prima della seduzione,

e sentissimo sulla spalla
una mano amica,
una voce fraterna
dirci: «Taci, ascolta»,

allora, forse, verremmo
accolti nella schiera degli eletti
e la nostra tacitazione,
il verso che non dice,
la parola seminata nel sottosuolo,
darebbe frutti;
allora, forse, l’Io, io, io
lascerebbe spazio
a una resa vittoriosa
e il firmamento sopra di noi
sorriderebbe ancora al passo
di Adam, bambino.

Sergio Daniele Donati

Sergio Daniele Donati (Milano, 1966) è un avvocato, studioso e insegnante di meditazione ebraica ed estremo orientale. Insegna cultura ebraica e meditazione in associazioni e scuole di formazione. È stato allievo di Haim Baharier e di altri maestri di pensiero ebraico. Ha pubblicato: E mi coprii i volti al soffio del Silenzio (Mimesis, 2018), Il canto della Moabita (Ensembre, 2021), “Tutto, tranne l’amore” (Divergenze ed., 2023)

Riferimetno esterno al sito dell’autore: https://www.leparoledifedro.com/

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