Ma ai concorsi si premiano le poesie o le prefazioni?

Colui cui manca l’intelligenza, che farà dei libri? (Anonimo indiano)

librarythingMi soffermo talvolta e faccio sosta di fronte a certe  verità scomode, che caratterizzano il nostro tempo e lo scenario culturale nazionale, soprattutto in riferimento al fare poesia.
Abitualmente dissertiamo e ci chiediamo «ma ai ‘concorsi’ si premiano le poesie o le case editrici? …le poesie o l’ultimo nome di turno?» e io aggiungerei ancora «ai concorsi si premiano le poesie o le prefazioni?» e dico prefazioni con un  bonario cenno di sorriso, perché le “firme” illustri campeggiano abitualmente in prima fila e solo molto raramente in postfazione… Ecco, questa è una delle tante scomode domande, che ogni tanto mi frullano ad alta voce nella testa. Gli interrogativi però, non nascono mai a caso, si sostanziano di osservazione, di conoscenza e di esperienza (personale e relazionale).
Ciò che posso dire è che nel corso di questi anni ho letto libri mediocri confezionati in prefazioni d’eccezione, e libri bellissimi  prefatti talvolta da  autori sconosciuti o quasi. Accanto a queste due categorie, io aggiungerei i libri solitari, quelli che viaggiano da soli e che generalmente sono i migliori, non foss’altro per il coraggio e la dignità di esistere senza sostegni e stampelle altrui.
Dunque, che fine fanno le poesie senza il salvacondotto di un NOME CELEBRE e ILLUSTRE, conosciuto e riconosciuto nel mondo della cultura e dell’arte? E soprattutto, ai concorsi vengono almeno lette o scartate e cestinate apriori?
E infine, vi siete mai chiesti quanti romanzi vengono prefatti? E vi prego, non rispondetemi con la solita frase retorica e già fatta “la poesia è più difficile e per questo ha bisogno di essere dispiegata”, che è come dire “dettata” e  “imboccata”. Questo assunto mi ha sempre rimandato all’immagine di qualcosa di messo in confezione, di etichettato e marchiato. Una cosa, un oggetto, un prodotto da supermercato.
Ecco, tutto questo per dire che trovo poco etica la prefazione a tutti i costi, così come trovo poco etico il lasciapassare del libro “prefatto” (con marchietto doc) da chi gestisce concorsi, giornali, manifestazioni culturali. E’ un circolo vizioso, sostenuto da una visione falsata delle cose e da un metodo di asservimento ad una logica (quella del potere!) che dovrebbe essere estranea alla parola (in genere) e allo spirito  più intimo della scrittura. Ma capisco che è una questione di scelte e di coerenza, e le mie scelte – lo so –  corrono e mi pongono sempre rischiosamente al margine.
La buona poesia, o meglio la poesia che ha capacità di persuasione e suggestione,  è riconoscibile con o senza intermediari,  filtri o retini. E’ lì che si fa e si offre e si dà nello spazio della pagina bianca, che quanto più sarà ampia, tanto più darà respiro al dialogo, alla partecipazione e alla condivisione. O forse il vero problema è che oggi non siamo più in grado di leggere, cioè di auscultare, porgere attentamente l’orecchio, stare ad udire con attenzione?
E’ una questione di stile anche, di un approccio che  si fa sempre  più approssimativo e generico nei confronti del mondo (dove vige la cultura del tutto  già detto, tutto già fatto). E allora se non siamo in grado di “ascoltare” e non abbiamo voglia di farlo, lasciamo che i libri viaggino altrove e soprattutto non ci inventiamo concorsi (miriadi di concorsi!) e manifestazioni vetrina (allestiti per sport, per spendere fondi o per fare passerella) che sminuiscono e sviliscono in primo luogo la scrittura e tante volte, troppe, danno merito esclusivamente al “marchietto” lasciapassare, trascurando quelle voci clandestine meritevoli , che proprio contro questo mercanteggiare, hanno scelto una vita di scrittura ai margini, sostenuta da onestà, umiltà e rigore intellettuale.

Maria Pina Ciancio

6 risposte a “Ma ai concorsi si premiano le poesie o le prefazioni?

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  2. Ho sempre pensato al “tempo minimo e o massimo” che l’autore di una raccolta di versi impiega fra due pubblicazioni. Il mio tempo minimo equivale a quattro anni, dato che ritengo quest’arco di tempo il tempo necessario affinchè quello che scrivo giunga a completa maturazione. Rispetto altresì tutti gli altri autori di versi, ivi compresi quelli che confezionano ben bene i loro prodotti. Ed ecco però anche il mio dissenso radicale e la mia vicinanza con ciò che dice Maria Pina Ciancio: per me la poesia non è mai stata e non sarà mai un “prodotto” soggetto alle regole mercantili e globalizzzanti nemmeno di quest’epoca. Per me la poesia ed in generale la scrittura è un’urgenza, un urlo dell’anima, una rivolta interiore, uno scandalo. Capisco anche chi scrive per mestiere, solo che a me lo scrivere non “funziona” così. Ed è per questo, oltre che per la mia profonda alterità nei confronti di quest’epoca, che son sempre stato e continuo ad essere un solitario, un autoisolato, pur essendo fondamentalmente contento di quel minimo di scrittura che ogni tanto mi capita fra le mani, in questa vita

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  3. Concordo sostanzialmente con Maria Pina. Aggiungo una riflessione: ai grandi autori non si fanno le prefazioni (sarebbe quasi una deminutio) mentre per gli esordienti e gli emergenti la prefazione (o la postfazione) può fare la differenza, può essere valore aggiunto. Il problema è tutto in quel ‘può’. In diversi buoni libri di poesia la prefazione mi ha aiutato ad accostarmi alla poetica dell’autore o al suo linguaggio; devo però dire che si tratta di una minoranza di casi (e il più delle volte le prefazioni più utili e sincere sono quelle fatte da nomi semisconosciuti, spesso poeti anche loro, e spesso meno noti dell’autore prefato).
    Non sarei dunque troppo severo nel giudizio sulle prefazioni; quanto invece lo sono per quei premi la cui giuria non sa scindere tra il nudo testo concorrente e il tentativo di ‘marchietto’ (ma è più colpa dei giurati che dei concorrenti mi pare).
    Un caro saluto

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  4. Ottimo spunto Mapi. Io sono nettamente (l’ho maturato) per la postfazione, preferirei una postfazione di semisconosciuto alla prefazione di un big. Mi interesserebbe che chi apre il libro fosse a contatto diretto col contenuto poetico ed evitasse di arrivarci stanco di parole altrui. Non sempre accade, anzi quasi mai, per tutti i motivi che tu e i tuoi commentatori avete ben sviscerato. Ma se esiste o esisterà una associazione di poeti per la postfazione obbligatoria io m’iscrivo senz’altro!! 🙂 A rileggerci

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  5. Donato Russo
    “E’ lì che si fa e si offre e si dà nello spazio della pagina bianca”… molto bella!
    Gio alle 21.49


    Aurelia D’andrea

    pienamente condivisibile la tua riflessione, Mapi…ma, purtroppo, cos… Visualizza altroì funziona in tutte le tipologie di concorso…al punto di togliere credibilità a qualsivoglia competizione, letteraria, artistica, amministrativa…hai mai sentito parlare di come funzionano i concorsi nelle università italiane? o in qualunque altro settore della pubblica amministrazione? in tutti i campi i “migliori” sono sempre esclusi! (anche perchè, non avendo stampelle su cui poggiare ed essendo disgustati per come funzionano le cose, spesso non partecipano e si autoescludono…chissà perchè mi vine in mente il mio amato Kant…)
    per quanto riguarda invece il livello iconico della poesia, non sono completamente d’accordo…credo che le sperimentazioni che riguardano la contaminazione dei generi e delle arti siano una legittima e nobile ricerca di nuovi moduli espressivi…credo che, in ultima analisi, debba fare i conti con le nuove tecnologie e la complessità attuale della comunicazione…perchè non diventi sempre più un “prodotto” di nicchia, ma raggiunga la maggior parte di persone…e questo perchè credo fortemente nella forza della “parola”, nella sua capacità di formare le coscienze, di colmare i vuoti dei disvalori o pseudovalori propinati alla “massa” attraverso i media…
    Gio alle 22.14


    Rosa Salvia

    Sono pienamente d’accordo. Se un testo vale davvero, viaggia da solo nel tempo e non c’è premio che tenga! Ai posteri l’ardua sentenza…
    Ven alle 10.21

    Eleonora Bellini
    Eh, la riflessione sui concorsi sarebbe infinita… I pi… Visualizza altroù “noti” sono un po’ come le riviste letterarie: circolano sempre gli stessi nomi (redazioni, giurie, premiati, recensori, prefatori…). Saranno i più bravi e i più efficacemente comunicatori, saranno i più “vendibili”, sarà che si voglion bene tra loro? Sarà pigrizia mentale delle redazioni? O al contrario estremo rigore ed estrema selezione delle stesse? Ai posteri l’ardua sentenza. Se ci saranno posteri alfabetizzati e carta stampata. Lo sconforto – sui posteri, ovviamente – è quasi d’obbligo. Ciao, MP. Buon lavoro e buone giornate d’autunno.
    Ven alle 11.44


    Rosa Rivelli

    ..quelle voci clandestine meritevoli , che proprio contro questo mercanteggiare, hanno scelto una vita di scrittura ai margini, sostenuta da onestà, umiltà e rigore intellettuale. Voci libere Maria Pina! Che fanno battere il cuore e che parlano dei silenzi di tante! Ti ammiro molto!!

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    • Sono perfettamente d’accordo. Anche perché spesso il prefattore finisce per presentare non il libro, ma la propria, particolarissima, lettura dell’opera. Diventa insomma un esercizio di narcisismo. Molto meglio pubblicare senza prefazione e far parlare i propri testi. Alla fine, sono quelli che contano e nessun prefattore, per quanto importante, può decidere le sorti di un libro.
      ciao,
      daniela

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