Pubblicati in quattro volumi romanzi, racconti e testi dello scrittore Giuseppe Brancale che ha vissuto tra la Basilicata e la Toscana

L’Unità d’Italia vista da un villaggio

“Una sintesi mirabile dell’antico col moderno”

Carlo Levi e Giuseppe Brancale, quadri in un’amicizia

Gli incontri in Basilicata e a Roma, i contatti con Scotellaro, il “pianto di Zia Rosa” e tre disegni che il grande autore piemontese realizzò per lui ‘Avanti, Cristo’, diventato poi ‘Il Rinnegato’, come risposta a ‘Cristo si è fermato ad Eboli’

I disegni realizzati da Carlo Levi per Giuseppe Brancale

Carlo Levi (1902-1975) scrive ‘Cristo si è fermato ad Eboli’, memoria del suo confino ad Aliano, in un appartamento in Piazza Pitti, a Firenze tra il ’43 e il ’44, mentre è ricercato dai nazifascisti. “Io sono come a un incrocio di strade, e devo decidere sul da fare… e il cuore è tutto dalla parte dell’Italia”, scrive Levi nell’agosto del ’40. E’ in fondo l’incrocio di una generazione, da cui parte anche Giuseppe Brancale (Sant’Arcangelo, Pz, 1925 – Firenze, 1979), congedatosi dalla Marina Militare, per arrivare a Firenze nel ‘47. ‘Cristo si è fermato ad Eboli’ è già uscito nel ‘45, Brancale lo ha letto avidamente e sta scrivendo un romanzo corale che vuole essere di risposta all’opera di Levi: “Avanti, Cristo!’”. La vita costa e i molteplici lavori che fa non gli consentono di proseguire gli studi di ingegneria. Un amico, Giuseppe Ricciardi, venuto a Firenze, lo convince a tornare a casa, in Basilicata, dove almeno non gli mancherà  da mangiare. A malincuore, Giuseppe torna giù, ma sono impressi ormai in lui una grande frustrazione e un rimpianto. Porta con sé anche il dattiloscritto di ‘Avanti, Cristo!”, la prima di una serie di stesure che aveva letto ai suoi amici della Camera del Lavoro a Firenze. A Sant’Arcangelo dà lezioni private e nel frattempo studia per conseguire anche il diploma magistrale che gli consente di diventare insegnante.

La passione per il racconto non lo abbandona. “Il primo incontro con Levi – ricorda la moglie Gaetana – avvenne proprio a Sant’Arcangelo, davanti alla farmacia del paese. Levi era innamorato della Basilicata ma proprio lì il suo romanzo non era stato capito. Ovunque andava sembrava trovare il gelo. Talvolta quelli a cui aveva lasciato il romanzo come dono, glielo rendevano pensando di doverlo pagare. C’era molta grettezza. Poi quando cominciarono gli studi critici e passò il tempo, finalmente ci si rese conto di quanto Carlo Levi avesse fatto per il Sud”.
Tra la fine degli anni Quaranta e gli inizi dei Cinquanta Brancale incontra Rocco Scotellaro presso la Camera del lavoro di Sant’Arcangelo. Lo incontrerà anche altre volte. Brancale è socialista nenniano (sarà vicino a Giacomo Mancini) come Scotellaro.  La situazione è tutto sommato fluida tra socialisti e comunisti. Spesso i responsabili dei due partiti in Basilicata, quando si svolgono incontri per mettere a punto alcune strategie sindacali, mandavano Brancale a Potenza e a Matera o dove avvenivano questi incontri. E c’era anche Scotellaro. “Ci parlava, era il giovane sindaco di Tricarico – racconta la moglie di Brancale – ma Rocco Scotellaro lo scoprimmo come autore e per ciò che rappresentava e avrebbe rappresentato per il Sud solo dopo la sua morte, avvenuta nel ’53. Era andato in galera per avere occupato le terre con i contadini. La sera faceva lezione ai carcerati. Questo Giuseppe Brancale, allora, sapeva di lui, con la convinzione comune che tante cose accadevano perché la gente non pensava”.

Intanto contatti saltuari quelli con Levi, ma non rari. L’amicizia si sviluppò più avanti, negli anni Sessanta, quando ‘Avanti, Cristo!’ divenne ‘Il rinnegato’, al quale seguì poi la stesura del romanzo ‘Echi nella valle’. Brancale, che aveva mantenuto contatti con Levi, gli mandò il dattoliscritto del ‘Rinnegato’ nel 1969. Levi viveva a Roma. Cominciarono a sentirsi spesso per telefono e poi si incontrarono con una certa frequenza. Levi aveva letto con attenzione ‘Il rinnegato’. “Ci raccontò – ricorda ancora la moglie di Brancale – che ne aveva letto alcune parti all’ambasciatore di Israele, soprattutto le pagine sulla vecchia venditrice di frutta che la sera della morte di Vittorio Emanuele II piangeva perché convinta che le ‘patacche’, le monete con la sua effige, non valessero più una volta morto il re”. Levi ci rideva e l’ambasciatore si fece ripetere più volte l’episodio di questo romanzo corale sull’Unità d’Italia vista con gli occhi degli abitanti di Migalli, villaggio lucano da cui partono Giuseppe Prestone e altri garibaldini come lui.

“Ricordo bene tre incontri nella casa romana di Levi – continua Gaetana – prima che lui si ammalasse. Ebbe il distacco della retina e restò ricoverato per diverso tempo. Nell’ospedale scrisse il ‘Quaderno a cancelli’ inventando una tecnica particolare per poter scrivere, ponendo fili su fogli di carta e riuscendo a scrivere aiutandosi con i fili. Allora si sentirono per telefono”. Ma prima? Nel primo incontro regalò alla figlia di Brancale  ‘Cristo si è fermato ad Eboli’, “perché saluti per me i miei paesi di un tempo, e ci viva felice, con le argille e egli uomini di oggi”. E’ il 2 agosto del 1971.

“Levi – riprende Gaetana – ci fece vedere i disegni che gli mandavano i ragazzini delle scuole. Ce  n’era uno, che raffigurava un corpo tozzo con due bambine con la dedica di un bambino: ‘Questo è Carlo Levi’. Lo guardava e si divertiva”.

Mentre cercava di pubblicare con l’editore Palazzi ‘Il rinnegato’, Brancale porta a termine anche il romanzo ‘Echi nella valle’. Chiede a Levi di realizzare il bozzetto di copertina “e non ne fece uno solo, ma tre. Per ritirarli, andammo a trovarlo nuovamente a Roma, in via di villa Ruffo, con Angela Bongiovanni, mia sorella, professoressa di lettere, che conosceva Levi. Entrando in casa Levi, si trovava sempre il gatto sempre acciambellato davanti alla porta. In quell’occasione c’era anche Linuccia Saba, che stava appartata. Ci fermammo a lungo. Quando parlavano, Giuseppe e Levi si accaloravano. Levi ci parlò di topi venuti al seguito di Gengis Khan. Parlò di tante razze di topi e di una che aveva mangiato nel suo studio i fiori. Lui vedeva sparire i fiori e non capiva dove finissero, finche non scoprì dove questi topolini avevano fatto il nido… La casa di Levi era molto strana. C’erano paratie che formavano un corridoio. C’era una scala che portava a piani superiori o, meglio,  una sola grande stanza con soppalchi”.

L’incontro con Levi durò a lungo. Si raccontarono “un sacco di cose. Parlarono di amici comuni, in particolare di un medico di Montalbano Jonico, Egidio Ruggiero. Ne parlavano sempre molto volentieri. L’amico di sempre di Giuseppe Brancale,  Michele Di Gese, a cui è dedicato un romanzo,  conosceva questo medico in rapporti con Levi e glielo aveva fatto conoscere”.  In questo incontro Levi convenne sul fatto che la borghesia lucana si era generalmente comportata male con lui. Lui, per parte sua, “non aveva mai dimenticato i più umili di Aliano e tra questi Giulia, ritratta nel ‘Cristo’. Il suo cruccio era stato di non aver mandato i soldi a Giulia, che era nel bisogno, perché lui stava in Russia. Quando tornò seppe che lei era morta”. In questo secondo incontro romano, Levi dona a Brancale ‘Paura della libertà’, “questo mio primo libro, da cui tutti gli altri derivano, con ammirazione per la sua opera, e con amicizia”. E’ il 10 gennaio 1972. Levi consegna a Brancale anche ‘Il futuro ha un cuore antico’: “Si può trovare in un paese nuovo lo stesso incanto, e gli stessi valori, di uno antico e amato, della Lucania che è in noi”.

Un terzo incontro a Roma avvenne nel ’74. ‘Echi nella valle’ era stato pubblicato dall’editore Pellegrini con la copertina di Levi. “Per ringraziarlo andammo a trovarlo – conclude Gaetana Rossi  – Levi gli disse che aveva saputo fondere l’antico col moderno e, a partire da questo pensiero, articolò successivamente un giudizio critico”. Ed era questo: “Nel tuo libro hai saputo fondere mirabilmente l’antico col moderno, per una vicenda che mi ha commosso e fatto meditare. E mirabilmente hai saputo mettere a fuoco sentimenti e problemi della tua gente, della nostra gente, alla quale è rivolto sempre il mio pensiero”.

La stesura di ‘Echi nella valle’ ha conosciuto più redazioni. L’autore tornava continuamente sui suoi testi. L’edizione attuale di ‘Echi nella valle’ tiene conto di alcune annotazioni di Brancale, che già dalla prima alla seconda edizione, pur salvando l’impostazione e la struttura narrativa di ‘Echi’, ne aveva modificato non poco alcune parti, recependo osservazioni che gli erano state fatte  dallo scrittore Pier Angelo Soldini (1910-1974), suo mentore e amico. Il testo pubblicato nella prima edizione fu rivisto anche da Carlo Levi, che realizzò la copertina. “Nel tuo libro – gli aveva scritto Carlo Levi – hai saputo fondere mirabilmente l’antico col moderno, per una vicenda che  mi ha commosso e fatto meditare. E mirabilmente hai saputo mettere a fuoco sentimenti e problemi della tua gente, della nostra gente, alla quale è rivolto sempre il mio pensiero”.

La riscoperta di Giuseppe Brancale (Sant’Arcangelo, Pz, 1925- Firenze, 1979), portata avanti dal Centro studi umanistici dell’Abbazia di San Savino, con il sostegno di Enti locali (Provincia di Firenze, Regione Basilicata) e dell’Enel, comprende la pubblicazione di quattro volumi, tre dei quali già editi, da Polistampa: ‘Il rinnegato’, ‘Echi nella valle” (con un’appendice di pagine ritrovate), ‘Fantasmi che tornano’ e ‘Lettere a Michele’ (un romnazo e un gruppo di racconti) va avanti con una nuova importante tappa. Venerdì 10 dicembre, a Potenza, alle ore 18, nella Cappella dei Celestini di Palazzo Loffredo, il ‘Premio letterario Basilicata’, presenterà il volume ‘Echi nella valle’, il secondo del progetto ‘Opere complete’ con il quale Polistampa sta editando gli scritti di questo autore, mentre è in uscita proprio in questi giorni, grazie al contributo dell’Enel, il romanzo ‘Fantasmi che tornano’.

 

***

La morte di Vittorio Emanuele e i pianti di zia Rosa

(da ‘Il rinnegato’)

Per la morte del Re, quella sera, pianse solo zia Rosa, l’americana. Eppure non era stata mai amica del defunto. Anzi da quando le era stato requisito il mulo, per un suo decreto, lo aveva tenuto sempre sopra il naso. Senza mulo, zia Rosa era stata costretta a lavorare di braccia con la zappa e aveva dovuto portare il peso della soma sulla testa, in una sporta più larga di una macina di mulino. Affatto addolorata per la morte del Re, zia Rosa pianse per un fatto che risultò infondato: la certezza di vedersi invalidate le lucide patacche da due soldi, avvolte in una pezza e riposta nella cassa delle biade.

Sentendo che quel pianto si faceva sempre più alto e disperato, alcune vicine accorsero in casa di zia Rosa per chiederle se per caso fosse morto quella buona pezza del marito, nemico giurato del lavoro e amico di Bacco per la pelle.

E lei, tergendosi le lacrime col dorso della mano: “Magari! Invece è morto il Re”.

“Non è una cosa grave per chi non gli è parente”, obiettò la vecchia Marta.

– Lo dici tu. Quando andrà sul trono il nuovo Re, farà coniare monete con la sua effige, mettendo fuori corso le altre, come le doppione. E ne ho tante, guadagnate tutte con stenti e con sudore. So io quanto lavoro ho fatto, so io quanta frutta ho venduto per fare il gruzzolo riposto nella cassa. Sento che ammattirò. Ho fatto tanto lavoro per niente, per offrire allo stagnino un mucchio di patacche,

buone per chiudere i buchi alle padelle, in cambio di qualche pentola di rame.

– Ma le monete non saranno invalidate. Il proverbio dice che i corvi non si beccano tra loro. Le nuove monete saranno date in cambio delle vecchie e tutti saranno ricchi o poveri come prima.

– Non ci credo.

– Vedrai. Intanto, se vuoi, rimettiti pure a piangere. Ti lasciamo libera, torniamo a casa.

E Rosa si sarebbe rimessa a piangere volentieri se, appena lasciata dalle amiche, non fosse rincasato l’incomodo marito. Il quale, fingendosi turbato, le domandò: “È vero che hai pianto?”.

– Come lo sai?

– L’ho saputo da alcuni amici.

– Sissignore, ho pianto.

– Che sia morta tua madre?

– Nossignore, mia madre è viva e camperà cent’anni, con l’aiuto di Dio e per creparti in corpo. È morto il Re.

– Angeli all’anima sua.

– E diavoli alla tua, ché non capisci niente. Ora a che mi serviranno tutte le doppione?

– Lo avevi stabilito. Una volta dicesti che le accumulavi per andare sotto terra in una bella bara, con abito di seta e scarpe fini.

– È vero. Ma le monete con l’effige del Re morto non hanno più valore.

– I corvi non si beccano tra loro. Devi sapere che appena il nuovo Re sarà sul trono, cambierà le monete vecchie con le nuove.

– Le stesse parole della Marta, tutte bugie.

– Credi come vuoi. Ma sai che ti dico? Sei una pazza. E siccome con i pazzi è meglio non parlare e siccome è ora di cena e vedo il fuoco spento, ritorno fuori, vado a comperare qualche cosa alla cantina.

– Non farti illusioni. Il cantiniere ha giudizio e buona vista: non prenderà i soldi con l’effige del Re morto.

Che quella sera avesse versato lacrime inutilmente, zia Rosa se ne rese conto il giorno dopo, quando vide le amiche uscire di casa con il solito canestro per la spesa.

“Grazie a Dio, disse, il gruzzolo è salvo. Grazie anche all’Arcangelo Michele, che vinse i satanassi con la spada; ugualmente grazie ai Santi Rocco e Fortunato, che sono nemici della peste e della siccità; ancora grazie ai Santi Cosma e Damiano, che salvarono la mamma dal tifo petecchiale;

infine, sia pace all’animo del Re defunto, anche se mi prese il mulo senza soldi, e sia salute e bene al nuovo Re, a patto che sia assetato di pace e di giustizia”. A questo punto, zia Rosa tacque, per ascoltare un bando di Francesco Farabella, che era stato annunziato da due squilli di tromba simili a pernacchie.

Per contatti su Giuseppe Brancale

Centro Studi Umanistici dell’Abbazia di San Savino
www.centrostudisansavino.it

organizzazione@centrostudisansavino.it
info@centrostudisansavino.it
Avv. Lina Talarico  (cell. diretto 3471232998)

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