Poesia contemporanea. Pasquale Vitagliano

pasquale vitagliano

Il cibo senza nome” di Pasquale Vitagliano (Terlizzi, 1965), affronta senza pudore nè vittimismi, ma con grande dignità il dramma del distacco e della perdita, di quel tempo del dolore che è caos, disorientamento e vuoto, sottrazione del nome e dei nomi delle cose dell’appartenenza e della comunanza.
L’autore pugliese di Terlizzzi, in questa raccolta del 2011, ci conduce attraverso i rituali di un quotidiano e di una sofferenza che non è mai esteriore ed estetizzante, ma è tutta dentro, cedimento e lotta di pensieri e carne (“lotta contro il petto”) per non essere “cosa” e non confondersi con le cose.
C’è in modo diretto il bisogno di autopercepirsi e di sentirsi esserci, corpo presente e vivo (“si è arenato il corpo”, “la posa del caffè/ che ti resta tra le dita”,  “lo stomaco e la fame si dilatano”, “le vertebre spogliate”, “l’addome che vibra”, “la vena del collo che risuona di cose”, “il peso del ghiaccio in bocca”). Una poesia dunque fortemente carnale, bilanciata tra un’esperienza verticale e un taglio più orizzontale, piano, a tratti cronachistico; il punto di vista oscilla e sa equilibrarsi tra il sé e le cose fuori e dentro (intorno),  tra illuminanti analogie e metafore di vita :”mi hanno lasciato sull’asfalto:/ la lucertola persa di terrore,/ perché scoppi sotto/ le ruote”. (Maria Pina Ciancio)

Di Pasquale Vitagliano proponiamo alcune poesie scelte tratte dalla raccolta “Il cibo del corpo”:

Il sonno condiviso

E pensare che ci siamo spartiti il sonno
sopra un plaid a scacchi,
senza che l’arrocco riuscisse a salvarmi.
Lasciami andare come vai tu, in tutte le direzioni.
Quante volte me lo sono detto,
come un rubinetto che perde acqua;
Quante volte ho cercato di risparmiarmi,
mentre invece conto i centesimi della mia insistenza.
E tu, comunque, sei ancora qui,
mentre io mi trovo via, dall’altra parte
della strada; a specchiarmi dietro le vetrine
ed a guardami in tasca, se ho ancora da vivere.
Qualche cosa avanza sempre alla fine della spesa
(p17)

*

Disconosciuta

Si è arenato il corpo
nelle giornate in coda,
lo scoglio contro cui si squassa
ogni barca senza navigante.

Pure la mano s’è addormentata
sotto la schiena, e da sola va alla deriva,
fino a giacere immobile.
– Non me la sento più.
non è mia, non la riconosco,
è più aliena di una patente smarrita.
(p.20)

*

Anche se mi parli, tu taci
il silenzio che hai dentro,
tu taci il vuoto prima del verbo,
tu taci il pugno cieco del rumore.
Anche se mi parli, tu taci
il lessico dei tuoi occhi,
tu taci le sillabe traverse,
tu taci i battiti podalici del sangue.
Tu taci, anche se mi guardi.
Anche se taci, io ti ascolto.
(p.38)

*
Ad un passo

Mi sono fermato ad un passo
dalla santità grazie al peccato,
l’unico che ho ingoiato, è stato
l’acqua sul fuoco, la legna bagnata,
il fumo nero della mancata elezione.
Insopportabile a credersi che
si potesse fare quello che
si dice per crescere sani,
parola dopo parola,
dalla bocca alle unghie.
E invece no, dovevo fermarmi prima,
per poter essere come tutti gli altri,
mezz’ora di ritardo, senza parola data,
eppure accettabile perché così comune.
Questo resta comunque, a fare la differenza,
che proprio ad un passo mi sono fermato.
(p.45)

*

Pasquale Vitagliano, Il cibo senza nome (prefazione di Paolo Ruffilli), Lieto Colle 2011

(foto in alto di #maria pina ciancio)

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