Intervista a Michele Nigro

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a cura di Mariano Lizzadro

Michele Nigro è un mio caro amico, poeta, blogger, originario della Lucania ma nato in Campania nel 1971. Come ama definirsi lui stesso: “ … un pulcioso cane sciolto con una malsana passione per la scrittura, web philosopher e web poet, critico musicale, televisivo e cinematografico, non scrittore ma scrivente, non giornalaio bensì giornalista partecipativo culturale freelance e soprattutto senza tesserino da pubblicista. Autore prevalentemente indie… scrittore precario in senso lato, ha pubblicato e pubblica poesie, racconti e piccoli saggi su riviste e antologie. Articolista per quotidiani, quindicinali, mensili e fanzine. Ha dato alle stampe (ma senza crederci) una raccolta di racconti acerbi intitolata “Esperimenti” e un breve saggio semi-filosofico (“La bistecca di Matrix”) che rappresenta un po’ il suo ‘manifesto personale’. È stato finalista al “Premio Italia – World SF”, edizione 2010, con il racconto distopico “L’ultimo tramonto”. Ha avuto il piacere nel 2010 di essere selezionato per una plaquette edita da “Puntoacapo Editrice” (Collana narrativa “Passi” curata da Ivano Mugnaini) contenente il suo racconto “L’uomo che non sapeva leggere”. In passato ha firmato alcuni suoi scritti con lo pseudonimo di Ettore Meis: ibrido derivante da Ettore Majorana e Adriano Meis. All’inizio del 2013 approda con il suo racconto social fantasy “Call Center” su Amazon.it. A partire da maggio del 2016 pubblica su varie piattaforme di self-publishing, cominciando con Amazon, la sua prima raccolta di poesie – che in seguito definirà “raccolta di formazione” – intitolata “Nessuno nasce pulito”, sia in e-book che nel classico formato cartaceo…”.

Dopo questa auto-presentazione frizzante, ironica ed anticonformistica (tratta dal blog “Nigricante”), rivolgiamo a Michele alcune domande sulla sua prima opera poetica, “Nessuno nasce pulito”. Innanzitutto una domanda banale: perché questo titolo?

Come ho spiegato in altre interviste, nella Premessa e in una mia nota alla Postfazione della raccolta, il titolo nasce dall’esigenza di separare l’atto (se vogliamo “banale”) della pubblicazione in quanto tale, dal periodo meraviglioso e affascinante che lo precede: prima di riversarla sul foglio bianco del tipografo, la poesia è “sporca”, embrionale, inquieta, scritta a mano sui margini dell’esistenza, come un appunto privo di tecnica, messo da parte giusto per salvarsi la vita. Spesso nasce da un abbozzo imprevisto, un mezzo verso che ci raggiunge mentre facciamo altro. Una sorta di “ictus” linguistico, non richiesto, intorno al quale si va ad addensare tutta la struttura della poesia che in seguito vediamo stampata in “bella copia” nel libro. Ma prima vi è la fase dell’editing, dell’autoanalisi e della riflessione razionale sul senso e sulla collocazione in una poetica individuale, se c’è. Avrei potuto intitolarlo “Niente nasce pulito” riferendomi all’oggetto-poesia, ma quel Nessuno tira in ballo lo scrivente in carne e ossa, l’uomo che esiste nel mondo e sceglie di trasformare in segno letterario la propria esperienza di vita. L’autore è la sua stessa poesia, le parole che usa non sono un’essudazione accidentale da cui separarsi al più presto. La consapevolezza antiperfezionista di essere il risultato di un processo incompiuto, dona speranza: nessuno nasce pulito ma potremmo anche dire che nessuno diventa (o rimane) pulito. Una poesia può dirsi ‘finita’? La parola è viva e la componente neurolinguistica del poeta è come sabbie mobili. Se dovessi ripubblicare oggi questa raccolta, la ridurrei a un terzo. Rinnegarsi è fondamentale per evolvere.

Una seconda cosa che mi incuriosisce è la mutazione nello stile, nel modo di scrivere e nelle tematiche affrontate. Ossia il tuo linguaggio si è fatto più scarno, senza tanti orpelli. Si è affilato come una lancia pronta a colpire. Chi vorresti colpire e come mai?

Sì, hai ragione e ti assicuro che vorrei scarnificarlo ancora di più, ma per ora va bene così. Come accennavo nella precedente risposta, e come tu m’insegni, il poeta non è un essere fortunato raggiunto sulla terra da un raggio di luce miracolistico in conseguenza del quale comincia a verseggiare, ma è il protagonista (nella maggior parte dei casi inconsapevole) della propria evoluzione neurolinguistica, frutto del tempo, delle esperienze, delle continue sollecitazioni genetiche e fenomeniche, delle letture, dell’addensarsi della conoscenza o, meglio, della non conoscenza… Protagonista umano, biologico, mortale, anche se nel fare poesia rivela il suo lato laicamente “divino”. Non so se ho trovato uno stile mio, o se un domani sarà lo stile a trovare me: di sicuro so che non cerco nulla, non desidero niente, non aderisco a un manifesto, non costringo la materia a una scuola o a una forma, non c’è uno sforzo logico (almeno nella fase preliminare, “sporca”, del poetare) ma aspetto, ascolto, soprattutto mi ascolto, annoto nel silenzio tutto quello che l’anima mi suggerisce di conservare perché sa che ne vale la pena. Quando il verso funziona e soddisfa il tuo ritmo interiore, lo senti; anche se in seguito non piacerà al lettore. Sono contento che si noti questa “affilatura” ma ti assicuro che, volendo fare un paragone tra le poesie della raccolta e quelle pubblicate successivamente sul mio blog “Nigricante”, trovo queste ultime molto più scarne e affilate, più aderenti al mio status neurolinguistico attuale: segno che l’evoluzione, verso un’affilatura che si assesti intorno a uno stile tutto mio, è in atto. Ma la strada è lunga…

Le tematiche sono quelle tipiche dell’esistenza: l’amore, la morte, la solitudine, la condizione sociale, la sensualità, il passato che spinge per farsi ricordare, la spiritualità, la natura, la musica… Come dice Brunori Sas in un suo brano: “… Canzoni che parlano d’amore / perché alla fine, dai, di che altro vuoi parlare?…” E si parla d’amore anche quando non lo si nomina e sembra che il tema della poesia sia un altro. Amore in senso lato, sotto varie forme. Chi voglio colpire? Nessuno, te l’assicuro: spesso dietro un j’accuse o una sentenza disperata si nasconde l’esigenza di ricordare a se stessi le cose che contano e di confermare quella piccola sapienza privata creata da eventi non storici. Non pretendo di trascinare anime, di convincere, perché sono troppo occupato a salvare me stesso; però se un lettore si mette a riflettere dopo aver letto un mio verso, e me lo confessa, non posso non essere soddisfatto.

Una terza domanda che mi piace farti è: “Nessuno nasce pulito” è una confessione pubblica dei propri vizi e delle proprie virtù? Ovvero, come è la tua vita di scrittore? E che rapporto ha la tua scrittura con la tua vita reale?

Poiché il confine tra vizio e virtù è, secondo me, qualcosa di labile, di indefinibile (perché è inutile definirlo), posso risponderti dicendo che non ho sentito l’esigenza di confessare pubblicamente niente di più di ciò che già traspare dal mio esistere. Per farti un esempio pratico: mi dispiacerebbe se qualcuno interpretasse la poesia intitolata “Bevo per ricordare”, presente nella raccolta, come la confessione di un aderente all’Alcolisti Anonimi. Certo, mi piace bere in compagnia, qualche volta mi è capitato anche di ubriacarmi, ma lo scopo del componimento non è quello di parlare delle mie bevute goliardiche ma dei pensieri che emergono, liberi e incondizionati, dai meandri della psiche quando l’alcol disattiva i freni inibitori e ridiventiamo ancestrali e veri, senza sovrastrutture, ricordando quello che siamo stati prima dell’educazione. Il mio non è un invito allo sballo, ma l’essere umano è fatto anche di questi momenti non ordinari. La mia vita di scrivente (il termine ‘scrittore’ conserviamolo per quelli famosi e universalmente riconosciuti come tali) è abbastanza ordinata e schematica; odio il disordine e amo la pulizia e l’ordine funzionale (senza per questo giungere ad accessi ossessivo-compulsivi) anche se il titolo della raccolta non deriva da questa mia caratteristica. Non sono tipo da colpi di testa, e quando li compio, fanno parte di un piano preventivato in vista di un’esperienza su cui scrivere: ovvero vivo per scrivere e non il contrario. Scriveva Flaubert: “nella vita sii regolare e metodico come un borghese, così potrai essere originale e sfrenato nella tua opera”. La mia scrittura in generale è impregnata di vita reale e di esistenza già vissuta anche quando sembra che lo stile sia surreale e la “trama” inventata. Anche durante il periodo nel quale ho scritto alcuni racconti di fantascienza, in realtà ho attinto a piene mani dal mio vissuto. Per la poesia è un discorso diverso: non solo si attinge dalla propria esistenza ma si ha la possibilità di sondare piani interiori impalpabili, indicibili, sovrumani.

Una quarta domanda che voglio farti è: prendendo spunto dalle antinomie guerra / resa, fughe da luoghi fisici / fughe da luoghi comuni, lentezza / velocità e stress, come potremmo fare per cercare un risanamento di queste cose? In altre parole credi in alcuni possibili mutamenti psicologici, sociali e politici dell’essere umano? Ossia come lo vedi il futuro?

No, non credo in alcun mutamento, ma non per pessimismo; credo fermamente – e questo mi rasserena – nella ciclicità dei contenuti nella storia, nonostante il cambiamento delle forme: ci saranno sempre il bene e il male, ci saranno sempre quelli che fanno cose buone e cose cattive, anche se in modi differenti. Non mi attendo nulla dall’alto: né da un probabile Dio, né dallo Stato degli uomini; persino dalle persone amate non dobbiamo aspettarci granché. Da alcuni anni ho abbracciato, molto più onestamente, una sorta di anarco-individualismo: quando avevo vent’anni credevo che avrei conquistato e cambiato il mondo, ora che ne ho quasi cinquanta cerco di lavorare su me stesso e di salvare il salvabile prima che sia troppo tardi. Urgenze diverse. Poi c’è anche chi ci riesce a conquistare e cambiare il mondo: beati loro! Ma lo cambiano davvero oppure si illudono e in realtà hanno solo messo un po’ la stanza in ordine? Lavorare su se stessi, per se stessi, modificare il proprio mondo, migliorarlo. Lasciamoli stare in pace i “massimi sistemi”: solo partendo dalla cura della singola cellula si può sperare in un miglioramento dell’intero tessuto e nella prevenzione del “tumore”. Se la cellula è forte, la malattia non avanza. Le antinomie che citavi ci saranno sempre, per fortuna: creano equilibrio. Ma sta a noi scegliere quale preposizione sviluppare nella nostra vita. Il futuro lo vedrei nero se non avessi la poesia: creando versi faccio la conoscenza di me stesso e metabolizzo più facilmente questo mondo e questa esistenza.

L’ultima domanda è relativa alla musica. Si respira in tutta la tua raccolta poetica un odore di musica di un certo livello: sì, dai, la musica che piace a noi! La domanda che voglio farti è: che ruolo ha la musica nella tua poesia?

Mi sorprende molto questa tua domanda perché in realtà ho sempre pensato che la mia poesia avesse senz’altro alcuni pregi tranne quello della musicalità. In un’altra intervista ho definito questa raccolta “disritmica” perché da sempre ignoro i dettami metrici della scuola poetica ufficiale. Qualche volta mi sono divertito a cimentarmi in un sonetto o in una filastrocca, ma si trattava di esperimenti casuali e momentanei. In genere seguo un mio non ritmo che per alcuni può coincidere con un tipo di musicalità: quando ciò accade non posso che gioirne perché la melodia è una delle componenti fondamentali del fare poesia, ma non ha mai rappresentato un assillo per me. Se c’è una musicalità intrinseca e involontaria, ben venga.

Se invece per musica intendevi, come penso, la presenza di rimandi a determinati cantautori che c’hanno cambiato la vita e hanno rappresentato la colonna sonora del nostro andare, non posso che darti ragione. Non potrebbe essere altrimenti: loro ci hanno nutriti per anni con i loro versi in musica e non possiamo non citarli e portarli, senza scadere però in un citazionismo sterile e autoreferenziale, nelle nostre opere. La separazione tra “canzone” e poesia propriamente detta, m’interessa poco: sarà per questo che ho accolto positivamente la notizia del premio Nobel per la Letteratura dato all’immenso Bob Dylan. Anche se dal punto di vista comportamentale, e per certe sue incoerenze, in cui possono incappare anche cantautori ispirati, a volte ha lasciato molto a desiderare.

©LucaniArt Magazine, novembre 2017

3 risposte a “Intervista a Michele Nigro

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